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Uniform – The Long Walk

2018 - Sacred Bones Records
industrial metal

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Tracklist

1. The Walk
2. Inhuman Condition
3. Found
4. Transubstantiation
5. Alone In The Dark
6. Headless Eyes
7. Anointing Of The Sick
8. Peaceable Kingdom


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Forse dopo quel gioiello di violenza che è “Wake In Fright” le mie aspettative sul nuovo album degli Uniform erano davvero un po’ troppo alte. Inutile girarci tanto attorno e aspettare la chiusura della recensione: “The Long Walk” è un bel punto interrogativo.

Le suddette aspettative si sono ulteriormente gonfiate quando ho scoperto che a Michael Berdan e Ben Greenberg si è aggiunto Greg Fox, batterista dei miei tanto amati Liturgy e da qualche tempo a questa parte partner in crime di Colin Stetson. Nella mia mente a questo punto si è prefigurato qualcosa che ha finito inevitabilmente per non tradursi in nulla di concreto.

Di base i principi fondamentali della band sono sempre gli stessi, ossia Swans prima maniera e Ministry come se non ci fosse un domani, a maggior ragione con la presenza di un batterista vero e proprio che sembra fare la parte di Rieflin nelle fila della succitata creatura jourgensiana. C’è anche un nuovo, simpatico gradiente doom – forse mutuato dagli amici The Body con i quali i nostri hanno condiviso un’uscita – che potrebbe rendere il tutto più interessante. Potrebbe, ma non lo fa. Tutt’al più stupisce, forse incuriosisce ma non fa che affossare l’interesse. Addirittura scappa qualche sbadiglio.

L’approccio puramente hardcore del fu duo è rimasto intatto, così come la quantità di cattiveria, ma l’assalto frontale del precedente lavoro lascia spazio a una velocità media che finisce per rendere il tutto piuttosto immobile e alla lunga esacerbante. È un effetto chiaramente voluto: le chitarre si muovono in droni circolari che si ripetono pedissequamente per tutta la durata del lavoro fino a creare un senso di ipnosi a dir poco letale, e se l’intento era questo missione compiuta (soprattutto nella sinistra The Walk). Le distorsioni vengono applicate a qualsiasi strumento registrato fino a rendere il tutto inascoltabile, soprattutto nelle parti più accese (ad esempio sul finale di Found), ed è un’altra cosa assolutamente voluta, ma ciò non la rende meno pesante e alla lunga piuttosto scontata.

Principale colpevole dell’incepparsi del meccanismo è l’uso della voce: monotona e in qualche modo mai come prima d’ora dedita a giocare un ruolo punk vero e proprio che fa del declamare per distruggere dall’alto del patibolo ma senza mai muoversi dal punto segnato con una X sulle assi del palco il proprio modus operandi – e Berdan non è certo Mark E. Smith che una cosa del genere poteva permettersela. Alla lunga la cosa può stancare, e lo fa. Oltre a tutto ciò la presenza di Fox sembra essere superflua – dai suoni alla messa in atto – e di conseguenza la staticità prende il sopravvento su tutta una serie di realtà inesplorate, in primis quella della dinamica che avrebbe potuto aggiungere quel tocco in più e che invece manca totalmente.

Di sicuro c’è che il bersaglio a cui gli Uniform hanno puntato – che è probabilmente quello della disumanizzazione attraverso forme metalliche dal peso specifico di due elefanti – è pienamente raggiunto e da questo punto di vista nulla da ridire. Per tutto il resto vedo questo album come una sonora battuta d’arresto in un discorso che in meno di due dischi sembrava aver spiccato il volo donando all’attuale scena industrial nuovi fari a cui guardare.

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