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Back In Time

“Bloody Kisses”: amore e odio, passione e dolore

Non lasciatevi ingannare dallo sguardo perennemente accigliato e dal look vampiresco che sfoggiava in ogni sua apparizione pubblica: il buon Peter Steele, in fondo in fondo, era solo un gigantesco burlone. Nel petto di questo omone alto due metri e tre centimetri batteva il cuore di un misantropo incallito dal senso dell’umorismo nero come la notte: chissà quante risate si sarà fatto assieme ai suoi compagni di malefatte – il chitarrista Kenny Hickey, il tastierista Josh Silver e il batterista Sal Abruscato – quando, nell’estate del 1991, riuscì a schiaffare sulla copertina del primo album dei Type O Negative, quel “Slow, Deep And Hard” che il prolificissimo tuttologo musicale (e acerrimo nemico dei Beatles) Piero Scaruffi definì addirittura “uno dei capolavori dell’heavy metal e della musica rock tutta”, una foto ingrandita e offuscata (neanche troppo, in realtà) di un “incontro ravvicinato” tra un pene e una vagina.

Alla fine della fiera, tuttavia, lo scherzetto acchiappa-attenzione non valse la candela: con la complicità di testi che definire controversi è davvero riduttivo (limitiamoci a dire che probabilmente la ex ragazza di Steele non apprezzò molto gli epiteti a lei rivolti in Unsuccessfully Coping With The Natural Beauty Of Infidelity), il disco purtroppo non riuscì a raccogliere immediatamente l’attenzione che meritava.

Lo spaventoso matrimonio tra le sonorità funeree del doom metal e quelle glaciali della new wave più gotica e dark alla base dell’opera si rivelò un’unione difficile da accettare per i tanti orfani dei Carnivore, ancora abituati al Peter Steele in versione thrash/hardcore di “Retaliation”. L’enorme cantante e bassista di Brooklyn ringraziò tutti i detrattori mettendo un primo piano del suo villoso buco di culo sulla copertina del secondo album dei Type O Negative, il finto live del 1992 opportunamente intitolato “The Origin Of The Feces”.

Considerando tali premesse sembra impossibile credere che quello sfrontato di Steele, appena quindici mesi dopo averci regalato l’orrenda visione dettagliata del suo ano, riuscisse a dare alle stampe un prodigioso esempio di maturità quale “Bloody Kisses”. Il terzo lavoro della band statunitense rappresenta, almeno a livello stilistico, l’evoluzione naturale di quanto fatto in “Slow, Deep And Hard”.

La struttura a matrioska di canzoni come la già citata Unsuccessfully Coping With The Natural Beauty Of Infidelity o Der Untermensch viene qui ripresa, perfezionata e arricchita: all’interno dei quasi nove minuti di Christian Woman vi sono almeno tre brani diversi, uniti tra loro in una meravigliosa mini-suite blasfema che racconta del rapporto alquanto morboso tra una credente e Gesù Cristo. Sesso e religione si scambiano appassionati baci sanguinanti al ritmo cadenzato della batteria di Abruscato, mentre i cori eterei del ritornello ci guidano verso una suggestiva fase bucolica nella quale l’impressionante voce baritonale di Steele, adagiata su un tappeto di uccellini che cinguettano e ruscelli che scorrono, ci sussurra che l’unico desiderio di questa ragazza tutta casa e chiesa è sentire Dio “profondamente dentro di lei”.

Le donne che popolano i brani di “Bloody Kisses” non sono troppo differenti dalla maliziosa protagonista di Christian Woman: pericolose e irresistibili, come la dark lady dai capelli tinti di nero corvino che fa impazzire  di desiderio il povero Peter Steele in Black No. 1 (Little Miss Scare-All) (amarla “è come amare la morte”, ci dice); lontane e indimenticabili, come “le notti di fuoco e fiamme” ricordate nella tormentata Can’t Lose You, un raffinato esperimento dalle tinte shoegaze con tanto di sitar in bella evidenza.

Le sfuriate misogine di “Slow, Deep And Hard” per fortuna non ci sono più – anche se in Too Late: Frozen, tra coloratissime atmosfere sixties e infernali rallentamenti sabbathiani, non manca qualche frecciatina a una vecchia fiamma che ha chiesto scusa “troppo tardi”. Sta di fatto che i Type O Negative di “Bloody Kisses” sono uomini nuovi e, in qualche frangente, sembrano addirittura voler chiedere perdono (in maniera sempre assolutamente irriverente però, come da loro tradizione) per gli eccessi e i contenuti infelici di alcuni brani degli esordi (limitiamoci a dire che probabilmente un personaggio del “livello” di Matteo Salvini potrebbe apprezzare molto le parole urlate da Steele in Der Untermensch).

Le accuse di razzismo e machismo sfrenato vengono rispedite al mittente nei rigurgiti hardcore di Kill All The White People e We Hate Everyone: nel mirino della band ci sono i “comunisti di destra” e i “nazisti di sinistra” incapaci di distinguere la realtà dalla finzione (semplici scherzi o mere trovate pubblicitarie, per stessa ammissione del cantante). Il messaggio è chiaro, diretto e definitivo: come può lanciare esternazioni discriminatorie chi nutre un odio viscerale nei confronti di tutto e tutti, senza fare alcuna distinzione?

Eppure “Bloody Kisses”, sotto la spessa coltre plumbea e opprimente degna di un sabba del XVII secolo, nasconde un’esuberanza inedita per un album essenzialmente doom metal. È un Peter Steele pieno di amore e gioia di vivere quello che in Summer Breeze, rilettura totalmente libera di una canzone degli anni settanta del duo Seals And Crofts, ci rivela il suo sogno proibito: tornare a casa dopo una dura giornata di lavoro e ritrovare qualcuno pronto a confortarlo, liberandolo da ogni possibile pensiero grigio.

Certo, non si tratta di parole scritte di suo pugno; ma è proprio in questa deliziosa perla pop pesante come un macigno e lenta come il passo di un pachiderma che si cela il piccolo miracolo realizzato dai Type O Negative in quel lontano agosto 1993: nella storia dell’heavy metal raramente abbiamo assistito a una fusione così aggraziata e ricca di sfumature tra Beatles e Black Sabbath, amore e odio, passione e dolore, vita e morte.

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