Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Melody’s Echo Chamber – Bon Voyage

2018 - Fat Possum Records
dream pop / indie

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Cross My Heart
2. Breathe In, Breathe Out
3. Desert Horse
4. Var Har Du Vart
5. Quand Les Larmes D’un Ange Font Danser La Neige
6. Visions Of Someone Special, On A Wall Of Reflections
7. Shirim


Web

Sito Ufficiale
Facebook

A sei anni dall’acclamato debutto omonimo, Melody Prochet – in arte Melody’s Echo Chamber – torna finalmente sulla scena con un nuovo, personalissimo LP. Titolato “Bon Voyage” ed edito da Fat Possum Records, la seconda prova dell’artista francese non delude le altissime aspettative di fan e critica, convincendo sia in termini di estetica che di produzione.

Il fatto è questo: farsi un nome nella pressochè satura scena neo-psichedelica non è cosa da tutti, specie portando sulle spalle il peso di paragoni del calibro di Jane Birkin e Françoise Hardy. Insomma, non solo muse della chanson française, ma vere e proprie femme fatale. Tuttavia Melody ha dimostrato di non lasciarsi intimidire facilmente e – come una Anita Pallenberg degli anni Dieci – si è ritagliata lo spazio che le spetta a gomiti alti. Certo, farsi produrre dall’allora partner Kevin Parker (Tame Impala) non ha certo guastato, non solo in termini di visibilità commerciale. Lo stesso accade qui, con la saggia decisione di farcire il disco con collaborazioni di classe.

Registrato a Stoccolma con l’aiuto di Reine Fiske (Dungen), Fredrik Swahn (The Amazing) e Nicholas Allbrook (Pond, Tame Impala), “Bon Voyage” si presenta come una raccolta di melanconiche fiabe psych-pop dal piglio orchestale. L’album narra il complicato processo – metaforicamente, il “viaggio” – di guarigione della musicista, che nel 2017 ha rischiato la vita in seguito ad un aneurisma celebrale. Sin da un primissimo ascolto ai testi, si percepisce infatti la ricorrenza di una terminologia ben precisa (e.g. healing, exhaling, breathing, falling, feeling low), atta a descrivere lo stato fisico e mentale caratteristico di un’esperienza di pre-morte. Purtroppo si tratta di un’immagine sfocata, che Melody si sforza tuttavia di ritrarre con l’aiuto di diversi idiomi (inglese, francese, svedese) ed una moltitudine di approcci ed angolazioni sonore.

Il disco si apre con le 12 corde di Cross My Heart, una dolcissima filastrocca dal retrogusto prog (alla Träd, Gräs Och Stenar) su cui aleggia l’iconico flauto dei Dungen. Seguono Breathe In, Breathe Out – in bilico tra Unknown Mortal Orchestra e Courtney Barnett – e Desert Horse, il brano forse più rappresentativo dello stato emozionale dell’artista, che combina drum machine, virtuosismi barocchi dal retrogusto arabeggiante ed urla liberatorie in un bizzarro mélange sonoro che certo non pecca di originalità. L’ascolto prosegue piacevolmente tra improvvisazioni acustiche da salotto franco-svedese (Var Har Du Vart), crescendo orchestrali con tanto di assolo (Quand Les Larmes D’un Ange Font Danser La Neige) e preghiere da alba nella rotta delle spezie (Visions Of Someone Special, On A Wall Of Reflections), per dissolversi infine nell’appiccicosa psichedelia da spiaggia (molto primi Tame Impala) dell’ottima Shirim.

Bon Voyage” si autoetichetta come un importante lavoro di transizione, che in una trentina di minuti scarsi riesce sorprendentemente ad adempiere a tutti i suoi compiti. Se da un lato incarna l’urgenza di sigillare un doloroso capitolo nella vita dell’artista, dall’altro si manifesta come un necessario urlo epifanico per ricordare al mondo (ma anche a sé stessa) che Melody vive, produce ed affascina. Bentornata.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni