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Foxing – Nearer My God

2018 - Triple Crown Records
emocore / alternative rock

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Tracklist

1. Grand Paradise
2. Slapstick
3. Lich Prince
4. Gameshark
5. Nearer My God
6. Five Cups
7. Heartbeats
8. Trapped in Dillard's
9. Bastardizer
10. Crown Candy
11. Won't Drown
12. Lambert


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Allora, mettiamolo in chiaro sin da subito: se “The Albatross”  è stato il vostro disco emo-revival preferito tra quelli usciti nella decade corrente, questo disco, con ogni probabilità, al primo ascolto vi deluderà. Tutto ciò a maggior ragione se ritenete il sophomore album “Dealer “ un prescindibile e annacquato maquillage dell’esordio. Non è un discorso di genere, di semplificazione delle strutture, di evoluzione o di involuzione. Qui si tratta di imprimere su marmo l’epitaffio per le urla lancinanti e i fraseggi di genesi math-rock che guidavano l’impatto emotivo di perle come The Medic o Rory. Tutte cose che nel caso di un gruppo come i Foxing non sono da dare per scontato avendo più di qualsiasi altro gruppo di questa corrente costruito la propria cifra stilistica sul sangue e sulle lacrime, su un’epica romantica di grande intensità drammatica. Merito di una sopraffina ensemble di musicisti e delle luci/ombre (più quest’ultime) di un frontman tanto carismatico quanto eccentrico quale è Connor Murphy. 

E con “Nearer My God” la protezione dei numi tutelari scompare. Niente più Mineral, Penfold e American Football a garantire la genuinità di quanto si sta facendo. Subentrano invece in più di un’occasione i fratelli maggiori Brand New il cui tributo, anticipo subito, assume quasi sempre l’idoneità della cover band. Venendo agli esiti è innegabile che l’esigenza di rinnovamento dei Foxing sia attinta dalle tendenze di un contesto musicale in cui il revival non può essere circoscritto in se stesso ma deve estendersi verso direzioni esogene. Lo abbiamo già visto in questi anni con risultati talvolta ottimi (TWIABP; 2015) e talvolta pessimi (Basement; 2016). La rottura è da ravvisarsi anche nei confronti del passato più recente. Il precedente “Dealer” annegava le inquietudini di Murphy in un dilatato magma post-rock non senza una certa predisposizione al cliché. Seppur carente in termini di forma e smalto trattasi a mio avviso di un lavoro discreto nel suo esacerbare gli intenti romantici e drammatici di cui sopra. “Nearer My God”, al contrario, si presenta in una veste più ragionata, espressamente derivata dalla forma-canzone e in cui l’elemento distintivo è l’uso di un’elettronica minimale e ovattata in brani dalla generica identificazione alternative rock. In termini commerciali non escluderei una potenziale apertura verso un mercato che contempli etichette come “indietronica” o “art-rock”, ma trattasi di contingenze. 

Premiamo play. Immenso. L’inizio per lo meno. Grand Paradise è l’esauriente sintesi dei Foxing con i Brand New come termine di paragone. Il falsetto di Murphy è spudoratamente identico a quello di Jesse Lacey, l’incedere è fragoroso nel gestire la climax del brano e gli innesti elettronici fanno la loro entrata sul tappeto rosso; capisci dall’inizio che non sono accidentali. Classica open track che ti promette il mondo sopra le aspettative. Non che proseguendo nell’ascolto le cose debbano per forza di cose peggiorare, anzi. É solo che traccia dopo traccia difficilmente si può esimere da perplessità quando si passa da un brano che è la derogabile copia degli Arcade Fire (Lich Prince, ma vedasi anche Won’t Drown) a un brano come Gameshark , quasi un remix dub/brostep dei Taking Back Sunday. E qui cade la maschera di un disco il cui anatema principale viene troppo spesso attribuito allo sperimentalismo: la disomogeneità. Solitamente trattasi dello spaesamento di chi è sprovvisto di un’idea musicale di fondo ma nel caso dei Foxing è più probabile che trattasi di pressioni esterne unite alla difficoltà di manifestare adeguatamente la propria emotività. Da questa prospettiva è altresì evidente che i Foxing non hanno la stessa capacità dei loro più diretti concorrenti del Connecticut (The World Is A Beautiful Place & I’m No longer Afraid To Die) di mutare pelle, a mio avviso assai più bravi e significativi per la contemporaneità.

Tornando al disco, al di là di quanto sopraddetto, i pezzi di livello ci sono. Su tutti la menzione speciale va a Bastardizer, indubbiamente miglior brano del disco e tra i migliori mai fatti dalla band, genuina sintesi di emo-punk e power-pop che indulge in atmosfere tanto scanzonate quanto melanconiche. I Brand New restano il riferimento ma a tal proposito sono quelli di Your Favorite Weapon e Deja Entendù, tra i quali il brano si colloca a metà strada. Anche la title track lambisce la virulenza emocore degli esordi in una forma più lineare e scarnificata, mentre Slapstick e Heartbeats sono potenziali trampolini di lancio per perpetuare questa nuova direzione elettronica verso un opus più coeso, che a questo punto è oggetto di aspettativa per il futuro. Menzione a parte per Five Cups , le cui atmosfere oscure reiterate per 9 minuti sono talmente affascinanti da non far pesare il minutaggio forse eccessivo per un brano di questo tipo. Lambert chiude il pattern partendo come una ballata crepuscolare alla The National e finendo come una b-side dei Radiohead: si è sentito di meglio.

Ci hanno provato: la voglia d’osare c’è tutta e va loro riconosciuta, con esiti altalenanti che mai però vanno sotto una certa soglia dell’ascoltabilità, nel rispetto della propria poetica e con più di un momento degno di nota. E a pensarci meglio le stesse cose non si possono certo dire di tutti i dischi attualmente in circolazione. Difficile valutare “Nearer My God” musicalmente alla luce delle diverse anime che lo compongono e della già citata disomogeneità interna. Non ne avrei risentito in termini di qualità della vita qualora non fosse mai uscito, ma dal canto mio, che ho apprezzato abbastanza entrambi i lavori precedenti, confermo di avere altrettanto apprezzato anche questo. Buona fioritura. 

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