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Årabrot – Who Do You Love

2018 - Pelagic Records
noise rock / art rock

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Tracklist

1. Maldoror's Love
2. The Dome
3. Warning
4. Pygmalion
5. Serpents
6. Sinnerman
7. Look Daggers
8. A Sacrifice
9. Sons And Daughters
10. Uniform Of A Killer


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Ho sempre avuto un legame particolare con i norvegesi Årabrot, la cui carriera quasi ventennale li ha portati fino alla vittoria dello Spellemannprisen 2016 (l’equivalente norvegese del Grammy Award) col precedente “The Gospel“. Due anni di distanza da quel disco hanno evoluto ulteriormente il suono degli Årabrot, che si presentano con questo “Who Do You Love” con un suono più scarno e apocalittico che ben si presta al concept centrale in bilico tra i Canti di Maldoror ed elementi biblici.

Gli estremismi di “Rep.Sed.” o la pesantezza continua di “Solar Anus” si sono infatti evoluti verso una metamorfosi più art-rock, memore delle lezioni di Unsane, e Melvins a cui si aggiunge una ricerca sonora e una narrativa che lambisce una specie di cantautorato dark alla Nick Cave. Il suono abrasivo e sgraziato delle chitarre di Nernes rimane intatto così come la sua voce sempre in bilico tra il giovane Michael Gira, e il post punk, ma qualsiasi urgenza dei dischi precedenti è sparita, tanto che quasi tutto il disco si trascina su tempi lenti e mai esasperati.

L’unico apparente difetto di “Who Do You Love” risiede nel fatto che la prima parte del disco è potenzialmente la meno interessante, cosa che potrebbe frenare parecchio un ascolto superficiale. Intendiamoci, non c’è nulla di male nel noise-rock di The Dome o nel groove melvinsiano di Warning, ma sappiamo tutti che Kjetil & Co sanno fare di meglio. È infatti con l’organo e la voce femminile (ad opera di Karin Park) di Pygmalion che il disco si rivela in tutto il suo potenziale.

Tutta la seconda parte è infatti caratterizzata da un mood più decadente, e lo si sente immediatamente sia nelle trame epiche e folk di Sons And Daughters che nella rielaborazione di quella Sinnerman di Nina Simone che mantiene la disperazione della versione originale aggiungendoci un feeling apocalittico a metà tra gli Swans e la tribalità dei Neurosis di “Times of Grace“. La successiva Look Dagger mescola la pesantezza dei Melvins e Tom Waits alle colonne sonore horror anni 60, mentre A Sacrifice sembra una jam session tra le chitarre di King Buzzo e il pianoforte apocalittico dei Death In June. La chiusura spetta alla marziale Uniform Of A Killer con la sua lunga coda spettrale.

In un momento in cui un certo tipo di rock sembra sempre più standardizzato anche nelle sue derive più trasversali, avere band come gli Årabrot che continuano nel loro cammino musicale senza porsi limiti è una benedizione.

“Non è dato a tutti accostarsi agli estremi, sia in un senso che in un altro.“
Conte di Lautréamont

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