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“Vs.”, l’inno alla libertà dei Pearl Jam

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Per parlare di “Vs.” uscito trent’anni anni fa, il 12 ottobre 1993, devo partire da un aneddoto: è il 31 dicembre 1999 e non mi sto divertendo molto, vuoi che l’aspettativa di questo capodanno si sta facendo opprimente, vuoi che la compagnia è composta da una dozzina buona di ricchi 23enni francesi in giacca e cravatta con la casa libera. Propongo di uscire e passare la mezzanotte in piazza, magari fare mezz’ora di strada e arrivare a Strasburgo, o alla più vicina Mulhouse, oppure potremmo starcene nel paesino dove ci troviamo, più tranquillo, d’accordo, ma almeno usciamo, insomma tra qualche ora sarà il 2000 e sarebbe bello brindare all’aria aperta ma niente, nessuno vuole uscire, tutti hanno paura della propria ombra e vogliono stare a casa a bere vino bianco e mangiare fois-gras, che io mi rifiuto di mangiare per ovvie ragioni, comunque le mie idee sono bocciate, nella compagnia c’è anche la mia ragazza di allora, figlia dei proprietari della suddetta casa.

La cena è una noia mortale in più ascoltano musica che mi fa raggelare il sangue. Cosa diavolo ci facevo lì? Dio solo lo sa, perciò, più che altro, bevo. Terminata l’ultima cena del ‘900, la Mesta Combriccola si sposta in un’ altra ala della casa, una specie di appartamento per i figli con tanto di playstation e maxischermo nonché cartoni di pizza e Mc Donald’s abbandonati in giro insieme a posaceneri strabordanti di mozziconi di Marlboro Lights. Ne ho abbastanza, decido di prendermi una bottiglia e di uscire da solo ma prima, di ascoltarmi un po’ di buona musica per risollevarmi l’anima. Vado in un salone molto ampio provvisto di un grande impianto Hi-Fi, prendo il mio astuccio dei CD e comincio a scorrere: Jane’s Addiction, Alice in Chains, Fugazi, Faith No More, Pearl Jam… ecco, opto per l’arancione cd di “Vs.” dei Pearl Jam e, dopo aver scovato una bottiglia sigillata di Johnny Walker Red Label lo metto su, parte Go e apro la bottiglia. Quello che segue è un dimenarmi in un primario, tribale, preistorico, forsennato ballo, un canto liberatorio, anarchico e profondo, ero dentro me stesso come non mi accadeva da tempo, i miei piedi erano nudi nel fango, i capelli lunghi bagnati e scomposti da vento e pioggia, i miei vestiti erano fatti a brandelli, ero libero, tutti i miei nervi erano fatti vibrare dalle chitarre di McCready e dalla voce di Eddie Vedder, ero solo e più felice che mai. Almeno credevo di essere solo: arrivati più o meno a Rearviewmirror apro gli occhi e vedo tutta la Mesta Combriccola stretta e accovacciata a spiarmi da dietro la porta, occhi sgranati e un’agghiacciante visione di bocche aperte, nessuno che emetteva un suono. Io mi giro, assicuro la mia presenza nel mondo dei vivi con un goffo saluto militare (se ricordo bene) e crollo stremato e felice a peso morto tra un divano e un tavolino da fumo dove sono rimasto fino al mattino seguente, credo che la mia intenzione, fallita, fosse quella di centrare il divano, ma non è questo il punto; il punto è che “Vs.” mi ha salvato la vita, o per lo meno mi ha fatto iniziare il millennio in modo autentico perché è questo ciò di cui sto parlando: di autenticità, rabbia, di libertà.

È il sound del successo della post-esplosione grunge che si sta evolvendo, sta uscendo dalla scatola, quella delle major che hanno diligentemente confezionato una manciata di ragazzi di periferia rendendoli star mondiali attraverso capolavori come “Ten” e “Nevermind”, album bellissimi ma, cosa ormai constatata da tutti, puliti, sistemati e ascoltabili da un pubblico vasto.

Con “Vs.” ora siamo al passo successivo, i contratti ci sono, i ragazzi crescono e hanno voglia di far sentire una voce più autentica, sporca, vera. Il compito l’hanno svolto, hanno fatto entrare milioni di dollari nelle tasche di David Geffen e delle altre major, ora quindi, è il momento di starli a sentire sul serio, ora non è più soltanto belle melodie e testi accattivanti, ora il discorso si fa politico, duro e dissonante. La batteria per prima, sembra live, sembra di sentirla suonare nella tua cameretta dove il poster di Axl fa ormai un effetto strano, direi che stona proprio ed è ora di voltare pagina perché una nuova musica è entrata nelle nostre vite, perché è l’ottobre del 1993, le Messaggerie Musicali si riempiono di gente e gli scaffali sono pieni di Nirvana e Pearl Jam, rispettivamente “In Utero” e “Vs.”, ad un anno dal debutto i Pearl Jam decidono di farci sentire cosa c’è di vero nel sound di Seattle, il fango,come nelle foto di retro copertina, quei piedi nudi nel fango paludoso, quella sensazione di libertà che avrei sentito dentro di me qualche anno dopo.

Il grunge ha ripreso dove il punk aveva terminato e i suoi frontmen hanno colto l’eredità di rischiare di fare la figura degli idioti e sono stati subito derisi, etichettati come sfigati, sbeffeggiati, fino a quando è arrivato Eddie Vedder ad arrampicarsi sulle americane e a lanciarsi sul pubblico, una figura mitologica, un figo disarmante, una voce che spacca le pietre, Vedder è riuscito a zittire i rockettari orfani della bambagia hard rock anni 80 che non si davano pace nell’accettare che l’hard rock non sarebbe più tornato se non da parte di qualche buon esecutore sovrappeso di hair metal in becero sollazzo pre-illuministico.

Un disco perfetto, dove si alternano grida di unità e libertà a momenti intimi da condividere con pochi. Un suono che ha raggruppato milioni di ragazzi in una dimensione finalmente primitiva dove le sovrastrutture sono crollate. Dove i testi sono scritti a mano con tanto di errori e correzioni (“Uh! Che schifo! E poi, che casino!”). Beh, vi dirò: quel casino era necessario, non se ne poteva più di tutta quella pulizia igienizzante insetticida da studio, stavamo morendo in quell’ ambiente asettico, stavamo soffocando. Perciò non credo sia stato un caso che, quella sera, da quell’astuccio, abbia scelto proprio “Vs.”.

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