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Architects – Holy Hell

2018 - Epitaph / UNFD
metalcore

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Tracklist

1. Death Is Not Defeat
2. Hereafter
3. Mortal After All
4. Holy Hell
5. Damnation
6. Royal Beggars
7. Modern Misery
8. Dying To Heal
9. The Seventh Circle
10. Doomsday
11. A Wasted Hymn


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Risorgere dalla tragedia, portare il ricordo al sicuro come un gruppo di marinai che conduce la propria imbarcazione a riva, sfidando la più devastante delle tempeste. E poi sconfiggere il dolore attraverso l’unità, dopo aver raccolto il guanto di sfida gettato ai propri piedi dalla morte, quella vera e non figurata, quella che lascia un solco indelebile nella mente e nella quotidianità.

Holy Hell” è l’ottavo album di studio firmato Architects, il quintetto metalcore di Brighton che nel corso della sua imponente e sempre in crescita carriera ha dato alle stampe capolavori come “Hollow Crown” e “Lost Forever//Lost Together”, spingendo il proprio genere di competenza sempre un passo più avanti rispetto ai competitor, inarrivabili e inaccessibili per tecnica, ricerca della perfezione sonora e capacità di trasformare i live in veri e propri show. Se si trattasse di un’uscita ordinaria, i presupposti sarebbero sempre i soliti: le tematiche sociali e ambientali care alla band, unite alla potenza di un sound che i Nostri riescono incredibilmente a tenere aggiornato senza perdere di smalto. Ma questa non è un’uscita ordinaria, né tantomeno una dimostrazione di forza fine a sé stessa.

Holy Hell” rappresenta il primo passo musicale mosso dagli Architects dai tempi della prematura dipartita del ventottenne chitarrista Tom Searle, vera mente dietro all’intero progetto, capace di far scuola nonostante la giovane età all’interno del circuito core mondiale. Il lutto non è cosa facile da affrontare, per di più se a subirne le conseguenze è una delle band più osannate (giustamente) del mondo, trovatasi a combattere tra il dentro o fuori che una perdita di simili proporzioni porta con sé. Il tour commemorativo di “All Our Gods Have Abandoned Us” ha fatto spazio ai successivi e più che leciti dubbi sull’intera idea Architects, ma alla fine Sam Carter e soci hanno preso una strada ben precisa, ossia quella di dedicare ogni singola nota e ogni singolo concerto al chitarrista scomparso.

Tra le undici tracce di questo nuovo lavoro risulta impossibile trovare qualcosa di lasciato al caso: la cura maniacale dei suoni, degli incastri vocali e della musica stessa vanno decisamente oltre l’ordinario, con l’aggiunta di intermezzi elettronici e sinfonici che sembrano portare il dolore direttamente nelle cuffie. Death Is Not Defeat è il brano che ci si aspetta per aprire un album di questa portata, nel quale il senso di accettazione ha la meglio sullo sconforto (“Don’t be afraid, we all cross the same line”), nel quale l’essere umani vuol dire vivere e morire (Mortal After All). Se la title track vede Carter tirare fuori il suo meglio, urlando in faccia al mondo intero il percorso per la redenzione (“Remember we were born to burn? There is a holy hell where we can save ourselves”), Damnation e The Seventh Circle rispolverano il vecchio sound tutto impatto e mosh. A Wasted Hymn chiude il cerchio dei pensieri e delle considerazioni, donando ampio respiro a tutto ciò che ha preceduto concettualmente e musicalmente (“Life comes at a cost, but all is not lost”), confezionando “Holy Hell” come una dedica, una raffica di sentimenti, una presa di coscienza di quello che è la vita. 

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