Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Papa Roach – Who Do You Trust?

2019 - Eleven Seven Music
rock / pop / nu metal

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. The Ending
2. Renegade Music
3. Not The Only One
4. Who Do You Trust?
5. Elevate
6. Come Around
7. Feel Like Home
8. Problems
9. Top Of The World
10. I Suffer Well
11. Maniac
12. Better Than Life


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Che confusione. I Papa Roach sono ancora in giro, e già questo è…non so nemmeno io cosa sia. Un miracolo (per loro), una barzelletta (per tutti gli altri), un caso fortuito (per i discografici che ancora credono nel progetto)?

Gira e rigira questi è dal 1997 che non sanno dove piazzarsi, per questo ho aperto l’articolo in questo modo. Cambi repentini di umore, di genere musicale, di immagine e tutto per poi finire nella zona grigia dell’interesse: a chi diavolo frega se i Papa Roach fanno ancora dischi? Beh, se li fanno vuol dire che ci sono ancora dei KIDS che vanno appresso alla creatura di Jacoby Shaddix (cribbio, per me è ancora Coby Dick), Tobin Esperance, Jerry Horton e Tony Palermo (quest’ultimo in formazione da “soli” 12 anni) e che credono – o forse scambiano – la pochezza del combo per roba decente. Ma non è così. Scusate kids.

Tiriamo le fila del racconto: “Infest” fu un lavoro che non scosse il nu metal ma mostrò al mondo una band che poteva affilare i denti per il futuro, con la voce micidiale di Shaddix che avrebbe potuto tirare la carretta fino alla morte del suddetto del genere, e infatti già dal successivo inchiavabile “Lovehatetragedy” il gruppo cominciò a sbandare e poi inevitabilmente si perse nei tortuosi meandri delle deboli mode di metà anni ’00, dapprima vestendo i panni del gruppo (nu)glam, come andava per la maggiore al tempo – siano maledetti gli Avenged Sevenfold che fecero proliferare tutta questa genia di indegni gruppi – per poi recuperare qualcosa dal proprio passato e perdersi un’altra volta nel medesimo mare di cui sopra. Diciamo che a 40 e fischia anni di cui 22 di carriera sul groppone forse sarebbe anche giunta l’ora di scegliere almeno cosa fare della propria musica. “Who Do You Trust?” non fa eccezione ed è la perfetta sintesi della confusione di cui parlavo prima. Cos’è ‘sto disco?

Nu rock? Revival nu metal? Pop? Boh. Sì, non è professionale uscirsene solo con un “boh” ma che vi devo dire? Non si capisce, e la cosa è intollerabile, quantomeno per il sottoscritto. Non c’è una direzione chiara (ma non c’era manco nel precedente “Crooked Teeth”, disco a dire della band di ritorno alle origini, ah sì?), tanto che qui troverete I Suffer Well, brano hardcore punk che – Dio mi perdoni – fa venire voglia di buttare giù i denti ai vicini di casa: feroce, bastardo, veloce, muscolare e deflagrante. Peccato che prima di arrivarci uno si dev’essere goduto l’inferno di brani di rara pochezza come la title track che attacca Ed Sheeran e ogni tanto scoppia coi chitarroni. Ed è così praticamente ovunque, non c’è un singolo episodio che non sia piatto e scialbo e che non viva nel timore di essere troppo poppettone o ancora numetalleggiante finendo per perdersi per strada. A chi diamine stanno strizzando l’occhio, questi?

Problems è pericolosamente vicino all’infezione trap d’oltreoceano e sembra un misto tra tutti quegli artisti con i tatuaggi in faccia e i capelli che paiono pennarelli Carioca (non mi va di nominarne nemmeno uno in particolare) e i Linkin Park ultima maniera + una spruzzatina delle musichette da centro commerciale ad opera di Taylor Swift et similia. Cioè, riuscite ad immaginare nulla di peggio? Forse Elevate riesce in questa improba impresa, perché si rivolta al contrario e da rap “metal” va a finire nelle spire dei One Direction (ve lo giuro), che quasi si tira un sospiro di sollievo con Feel Like Home, che invece fonde Lit, Foo Fighters e American Hi-Fi. Capito? Mica può essere questo il punto più alto di un disco uscito nel 2019, eppure è così e il brano funziona pure bene, facendomi spezzare una lancia in suo favore. Renegade Music fa il verso – male –  ai RATM e suona più come una triste giustificazione di tutto il resto.

Coby Dick (ripeto che io lo chiamerò sempre così) con quella voce lì avrebbe davvero potuto aspirare a qualcosa di meglio che far parte della mesta narrazione di tutta la peggior musica uscita dal 2000 in poi, c’è proprio da dirlo. Invece ha preferito così, e i Papa Roach risultano ancora una volta – e a questo punto forse per sempre – un gruppo di serie B, e fidatevi, sono stato fin troppo buono perché questo modus operandi non è nemmeno più da intrallazzoni, è solo talento nello scrivere dischi mediocri e dimenticabili.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni