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Jozef Van Wissem & Jim Jarmusch – An Attemp To Draw Aside The Veil

2019 - Sacred Bones Records
minimal / sperimentale / folk

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Tracklist

1. Concerning The White Horse
2. Dark Matter
3. The Unclouded Day
4. The Two Pahts
5. Lost Continent
6. Final Initiation
7. When The Sun Rises Do You Not See A Round Disc Of Fire


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Mi fa strano scrivere una recensione su un prodotto di Jim Jarmusch che non riguardi l’ambito meramente cinematografico. Da vero e proprio cultista (da non confondere con fanboy) del regista statunitense, ed essendo cresciuto a pane e “Night On Earth” – del cui film mi tengo stretta la mia copia in vinile della colonna sonora di Waits – non posso che lanciarmi nell’impresa, nella speranza che il buon Jimmy non mi deluda come ha fatto sul grande schermo sin da quel “Only Lovers Left Alive” che mi fece pentire dell’acquisto del dvd in questione.

Jozef Van Wissem invece di delusione tende ad essere parco, e ho avuto la fortuna di vederlo in azione due anni fa in quel di Torino immortalandone un concerto a dir poco toccante, come si confà a ciò che suona il polistrumentista olandese, che di cinematico invece ha tutto e anche di più. Due anime affini che si incrociano da 13 anni e che sono giunte qui al terzo album assieme. A differenza di “The Mistery Of Heaven” e “Concerning The Entrance Of Eternity”, il nuovo “An Attempt To Draw Aside The Veil” imposta il suo Es su coordinate meno smaccatamente folkloristiche (e nel caso del primo anche meno shoegaze e rumoriste) dei suoi predecessori attestandosi su una rotta più liquida ed elettrica, nel senso più drone del termine e forse anche post rock, col suo essere vagheggiamento chitarristico su scale ascendenti e senza rimandi, ma al contempo compendio di tutti i lavori di cui sopra, quindi nuovo ed in un certo modo “enciclopedico”.

Leitmotive wagneriani privati della propria magniloquenza e sintagmi che in autonomia si trasformano impercettibilmente, ergo minimalismo d’antan in misture emotive (Dark Matter, Concerning The White Horse) che però non impennano il gradiente emotivo restando incastrate in un limbo etereo non incisivo che, sarà pur voluto, ma tende al basso anziché farsi elevator cosmico e rende difficile l’esperienza – difficile, non brutta, che è altra cosa. Altra cosa invece accade quando le due entità si sdoppiano, con Jarmusch sugli scudi elettrici e Van Wissem col suo fido liuto a concatenare architravi acustiche deliziosamente medievali, luminosamente oscure, frutto di un gusto per il delirio controllato e infilando crescendo impalpabili che si accendono e spengono a fasi alterne (la splendida The Unclouded Day). Se a lambiccarsi troppo il cervello con imprecazioni noise a denti stretti non si va da nessuna parte (The Two Paths) per guardare il paradiso è necessario scavare a fondo in abissi di feedback e acusticismi impallinati synth (Final Initiation).

Sarà che sono invecchiato ma trovo sempre più un limite incatenare questi suoni su un album, guardando con l’occhio della mente a performance dal vivo che renderebbero l’esperienza mistica il giusto per quel che s’immaginano i due partner in crime. Però fila, se chiudete gli occhi sognando gli scorci urbani tanto cari a Jim, che di certo Jozef ha visitato più di una volta con lui, giusto per ispirarsi, perché bello l’iperuranio ma la Terra è casa nostra, anche se è sempre più un inferno. Altrimenti non proprio imprescindibile, pur di classe.

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