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Quercia – Di Tutte Le Cose Che Abbiamo Perso E Perderemo

2019 - autoproduzione
emocore

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Tracklist

1. Buio
2. Finestra
3. Torri
4. Corridoio
5. Problema
6. Capolinea
7. Altalene
8. Pozzanghere
9. Fiammiferi
10. Muro
11. Bivio
12. Ridevamo


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Quando nel 2016 ascoltai “Non è vero che non ho più l’età” mi si spaccò il cuore in due per pochi secondi. Otto tracce che squadravano con occhio timido Knapsack e The Promise Ring, ma con un’urgenza espressiva che imponeva di pescare a piene mani dal punk rock. Sulla base di questo script, a cui corrispondono schegge subitanee come Nubi, Stima e Posto di Blocco, si affiancano momenti più ricercati e melodici come Lynch o vere e proprie ballate acustiche come Mida, più attigua ai canovacci della scenda indie contemporanea. L’EP fu una mezza bomba è resta, nella sua semplicità, tra i lavori più genuini che l’emocore nostrano abbia partorito, cosa da non dare per scontato vista la saturazione della proposta. Aspettative alte e una certa fiducia verso un gruppo che ha ingranato la marcia sin da subito.

Constato con immenso piacere che tre anni dopo il cuore dei Quercia è in salute e batte più forte che mai. Dopo l’EP d’esordio non era ben chiara la strada che si sarebbe intrapresa, ma non appena venne rilasciato il primo singolo Buio, con quell’incedere hardcore tipo ultimi Envy, si è palesata la metamorfosi. La crisalide diventa farfalla e il suono diventa più oscuro, la sezioni ritmiche più variegate, le chitarre si sfibrano e creano un muro sonoro che sopratutto nei momenti più tirati (Problema, Fiammiferi) ricorda i The Saddest Landscape, solo che al posto di scream nevrastenici viene riproposto il cantato lancinante e esteso all’inverosimile di Luca Fois.

Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo” è un disco devastante per maturità compositiva; emancipazione definitiva dei Quercia da qualsiasi contingenza indie o alternative per affogare totalmente nelle viscere dell’emocore. Ciò che i Quercia hanno perso in eterogeneità lo hanno guadagnato in personalità e potenziale espressivo, e i brani da cameretta diventano storie di fragilità urbana, riflessioni su se stessi e sul significato della perdita. Pezzi nei quali al centro vi è sempre una dialettica ambivalente tra vicinanza e lontananza: ciò che manca fisicamente ma è talmente impresso nel proprio immaginario da non potervici prescindere.

Il senso di isolamento pervade l’incedere tempestoso di Muro, in cui si cerca di riprendere le forze nascondendosi dietro quelle scuse ripetute fino alla nausea. Il mostro della solitudine ricorre in Pozzanghere nel tentativo di nascondere lacrime il cui peso anchilosa il referente. Poco importa se poi a piangere è l’ascoltatore mentre viene percosso dall’escalation emotiva del brano. Altra retorica ricorrente del disco è la fuga. Capolinea ne è l’esempio più rappresentativo ma sopratutto è la vetta del disco, talmente immensa da non riuscire a scorgerne la sommità. Brano che personalmente vivo in una dimensione metamusicale, ripensando a tutti i treni presi per andare a concerti, talvolta da solo, conoscendo persone bellissime anche solo per una notte e che non cessano ma di mancarmi. La destinazione cessa di essere un concetto geografico e diventa il fine ultimo della propria azione.

In Ridevamo si pecca d’accidia, quando il ricordo di quanto si è perso è la catena che impedisce ogni forma di reazione. Siamo “Come stormi che aspettano il buio sui cavi dell’alta tensione”. Tutto solo per ricercare un frammento di passato a cui aggrapparsi; magari un sorriso. Ce ne andiamo a fatica dal posto in cui siamo cresciuti e quando finalmente ci riusciamo torniamo solo per restare. Crescere è dura per tutti; se nel tuo percorso ti confronti con musica di questo tipo hai un handicap in più. “Dimentica la libertà che pensavi di avere” dicono i Quercia. Io sinceramente libero davvero non mi sono mai sentito, quindi la prima parte di Torri non mi appartiene del tutto. Ma il cambio repentino della propria quotidianità è qualcosa con cui mi confronto di anno in anno e “tutto sembra cadere e nulla sembra accadere”. Ah; in tutto ciò il pezzo è una bomba colossale.

Corridoio diventa un confronto con se stessi, sullo sfondo del peggio che si è stati costretti ad affrontare. L’unico brano dove la perdita lascia spazio alla propria parte oscura: il rimpianto. Finestra cerca di trovare un compromesso tra il passato e il presente, prefigurando l’illusione che le cose siano come prima. Una rappresentazione del circostante distorta dal proprio desiderio. Mi manchi terribilmente e “almeno fatti guardare, mentre non mi parli”. La trasversalità del tema di fondo trova diverse interpretazioni; queste sono le mie perché, nel bene o nel male, di cose e persone ne ho perse a sufficienza e non sempre a distanze tali da potermi permettere la fuga dalla realtà.

Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo” è semplicemente uno dei migliori dischi emocore italiani degli ultimi anni. Non passerà molto prima che io possa dire “di tutti i tempi”. La longevità d’ascolto, quando c’è sia l’arte che il mestiere, la si può anche dare per scontato. Un po’ come le parole del sottoscritto, forse in questa sede insufficienti. Grazie di tutto Quercia.

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