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“Infest”, la rabbia acerba e incontrollabile dei Papa Roach

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What is wrong with the world today? Un quesito, quello posto dai Papa Roach di “Infest”, che continua a echeggiare nelle teste di milioni di ex ragazzini che quasi vent’anni fa, nel pieno dell’epoca nu metal, rimasero stregati dal suono incandescente proposto dal quartetto originario di Vacaville, California. Un suono energico, rabbioso e senza fronzoli, legato allo stile che rese celebri Korn, Deftones e Limp Bizkit quasi esclusivamente per il suo essere crossover, frutto di un miscuglio di influenze e generi diversi.

Nel secondo album della band di un Jacoby Shaddix ancora noto con il nome d’arte Coby Dick (o Mr. Dick, if you’re nasty) trovano spazio la carica eversiva di un rap metal figlio dei Rage Against The Machine, l’autocommiserazione ostentata tipica di un certo grunge post-Nirvana e una dose abbondante di quella misantropia che, per qualche strano motivo, a inizio millennio letteralmente imperversava tra le nuove leve dell’alt-metal (il People are the problem today della title track è un po’ la versione edulcorata del People = Shit di slipknotiana memoria).

Nessuno gridi allo scandalo se, nel descrivere gli ingredienti alla base di “Infest”, ho tirato in ballo anche Zach de la Rocha e compagni. I Papa Roach degli esordi gli devono moltissimo: l’attenzione al groove, la centralità dei riff e, soprattutto, il flow cadenzato di uno Shaddix mai più in tale stato di grazia. Seppur privi della profondità e – inutile dirlo – del talento dei loro numi tutelari, i quattro californiani potevano vantarsi di una genuinità e di un’integrità quasi inattaccabile: la scelta di non indossare abiti di marca per mostrarsi esclusivamente in magliette e pantaloni neri era quanto di più “no-global” (il periodo era quello, in fin dei conti) si fosse mai visto in precedenza su MTV.

Negli undici brani di “Infest”, tuttavia, i Papa Roach non si scagliano contro multinazionali, ingiustizie sociali o autoritarismi. Fedeli alla loro natura di giovani poco più che ventenni provenienti dai sobborghi bianchi e benestanti della costa occidentale statunitense, prendono in considerazione tematiche in grado di comunicare qualcosa al loro pubblico di riferimento – formato in prevalenza da studenti di liceo di età non superiore ai diciassette anni.

Famiglie spaccate da litigi e divorzi (Broken Home), pensieri suicidi (Last Resort) e vagonate di nichilismo infestano le menti di Shaddix, Jerry Horton (chitarra), Tobin Esperance (basso) e Dave Buckner (batteria), eterni adolescenti per i quali la critica al capitalismo non è altro che qualche bella frasetta da scrivere sulla Smemoranda (There’s no money, there’s no possessions, only obsession/I don’t need that shit, da Between Angels And Insects).

Una rabbia acerba e incontrollata attraversa la violentissima Blood Brothers (It’s in our nature to destroy ourselves/It’s in our nature to kill ourselves/It’s in our nature to kill each other/It’s in our nature to kill, kill, kill) e le altrettanto incazzose Revenge e Snakes – che, con le loro parentesi drum and bass e gli scratch gentilmente offerti dal compianto DJ AM, rappresentano gli episodi più tradizionalmente nu metal del lavoro.

Si tratta di un’inesauribile fonte di frustrazione che Jacoby Shaddix, da frontman vulcanico quale credo sia ancora, sul palco trasformava in vero e proprio autolesionismo: nei tour di supporto a questo disco e al successivo “Lovehatetragedy”, infatti, non era raro vederlo colpirsi la fronte con il microfono fino a sanguinare. Un gesto eccessivo e discutibile quanto vi pare, certo; ma anche vero, sentito e, in qualche modo, giustificato dal pathos di una musica che, piaccia o non piaccia, riuscì a muovere l’anima di tanti ragazzini depressi e insoddisfatti.

Con “Infest” i Papa Roach, per la prima e unica volta nella loro carriera, mostrarono di avere le carte in regola per essere qualcosa in più che dei semplici mestieranti del mainstream rock più furbetto e plasticoso. Peccato non abbiano creduto abbastanza nei loro mezzi, diventando esattamente l’opposto di ciò che erano all’uscita di questo album.

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