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Blanck Mass – Animated Violence Mild

2019 - Sacred Bones Records
elettronica

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Tracklist

1. Intro
2. Death Drop
3. House Vs. House
4. Hush Money
5. Love Is A Parasite
6. Creature / West Fuqua
7. No Dice
8. Wings Of Hate


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Mi sembra piuttosto evidente che Benjamin John Power, aka Blanck Mass, non sia minimamente intenzionato ad alzare il piede dal pedale dell’acceleratore né a sacrificare il suo suono roboante a nessun altare della normalizzazione. Quel che invece chiaro è che il Nostro sia veterano del fare male, e farlo come Dio comanda.

Ancora un volta sono dolore e bocche divoratrici ad essere protagonisti assoluti di una narrazione che si fa via via più incisiva e profonda. Se “World Eater” si presentava gli occhi con un le fauci serrate di un lupo, la mela morsa e sanguinante di “Animated Violence Mild” sembra vedere nel tema della nostra (in quanto esseri umani) fame senza controllo un punto focale. La perdita di sensibilità e di senso di sentimenti e sensazioni di forte impatto, mangiati vivi dal consumismo e dalla confusione che sferzano un mondo sempre più volto verso l’autoconsunzione si fanno sentire e per farlo, per descriverle, Benjamin spinge il suo scintillante coltello elettronico sempre più a fondo nel petto fino all’obnubilazione, o forse al risveglio, dei suddetti sensi.

Un disco pericoloso e melodicamente feroce e dalle tinte a piombo dai colori sgargianti eppure malinconici, con lo sfarzo dei synth spesso usati come vere e proprie chitarre affilate a dettar legge, una legge marziale e rigida, il cui focus continua a spostarsi dall’aleatoriamente mistica ricerca delle debolezze umane alla macchina che le soppianterà ma che per ora è strumentalizzata proprio da un essere umano. I pezzi si abbattono sulle nostre teste come astronavi in picchiata dalla cui plancia si ergono grida black metal che così maligne non si sentivano dai bei tempi andati del miglior Igorrr, facendosi spazio tra tumulti cyberpunk proprio ora che tra Altered Carbon, Blade Runner e Cyberpunk 2077 i nostri occhi sono nuovamente carezzati dalle asettiche, luride città di un futuro mai così lontano, con tutti i riferimenti culturali ad un city-pop più impressione che genere ed aprono le porte di sfarzosi club dai pianali trasparenti retroilluminati da luci stroboscopiche che si muovono ora convulse, ora sensuali all’impulso di ritmi house antidiluviani la cui carcassa è stata ripulita per un’esposizione mostruosa di ciò che siamo e che continueremo ad essere, pur mutando di continuo verso qualcosa che per ora riusciamo solo lontanamente ad immaginare.

Giova sapere che l’elettronica futuribile ancora non dà segni di stanca. Con gli strali di una rabbia incontrollabile BJP – che pur sempre è l’uomo che fece il miracolo di rendere l’ultimo, palloso album degli Editors interessante – mette le mani nelle pieghe dello spazio tempo e ne fa emergere il cuore pulsante di una razza in via d’estinzione. La nostra.

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