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“Down”, l’anarchia nevrastenica dei The Jesus Lizard

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Se andaste a chiedere ai Jesus Lizard di darvi un loro parere personale su “Down”, avrebbero quasi esclusivamente cattive cose da dirvi. Se non addirittura pessime. Qualche anno fa Duane Denison (chitarra), David Wm. Sims (basso) e Mac McNeilly (batteria) ebbero modo di vuotare il sacco una volta per tutte: in un’intervista rilasciata al magazine online britannico The Quietus, i tre quarti della band texana diedero per la prima volta libero sfogo a un’insoddisfazione che si trascinava da tempo immemore.

L’album, che avrebbe dovuto capitalizzare il buon successo raggiunto grazie allo split con i Nirvana pubblicato nel 1993 (“Puss/Oh, The Guilt”), finì per trasformarsi in una fonte di grandi frustrazioni e piccole delusioni. I guai iniziarono sin da subito: entrati in studio di registrazione al termine dell’estenuante tour di supporto a “Liar”, i Jesus Lizard si ritrovarono più spompati e disuniti che mai. Lo stretto rapporto di amicizia tra il produttore Steve Albini e il cantante David Yow minò la serenità degli altri componenti del gruppo, che scrissero la musica delle tredici tracce in scaletta in fretta e furia e un po’ svogliati.

Ed è proprio questo il maggior cruccio di Denison, Sims e McNeilly: non aver dedicato abbastanza attenzione ai brani. Non essere riusciti a renderli nel miglior modo possibile, raffazzonando il tutto tra improvvisazioni e idee nate sul momento. Sembra incredibile che una simile caratteristica possa essere considerata un difetto in un contesto del genere. D’altronde, stiamo parlando di un quartetto dedito a una forma alquanto selvaggia e ruvida di noise rock: l’estemporaneità e l’impulsività dovrebbero rappresentare punti di forza, più che debolezze.

E infatti “Down” – che pure suona decisamente meno potente dei suoi celebratissimi predecessori – si fa apprezzare proprio per questo marcato tratto di anarchia stilistica. Procedere a briglie sciolte permette ai Jesus Lizard di assumere connotati diversi a ogni brano, senza per questo abbandonare mai le peculiarità del loro suono tipicamente “albiniano”. Un suono scarno, grezzo, secco e soprattutto spigoloso: la chitarra elettrica di Duane Denison sfrigola e taglia, occupata nel costante inseguimento della formidabile sezione ritmica costituita da David Wm. Sims e Mac McNeilly, talmente granitica da far male come un sasso lanciato in pieno volto.

In bilico tra vecchi richiami al post-punk e qualche timidissima fascinazione per il ben più moderno (e redditizio) grunge, la voce delirante e schizzata di Yow vola in assoluta libertà dal primo al quarantesimo minuto. Seppur schiacciate in un angolino dal perenne caos sonoro che letteralmente le divora, le urla e le stonature del vulcanico cantante di Las Vegas infondono livelli di inquietudine ed eccitazione tali da far diventare “Down” un’esperienza unica, simile a quella che si potrebbe provare a bordo di montagne russe impazzite.

Se il nervosismo strisciante di Fly On The Wall, il vigore ritmico delle martellanti Mistletoe e 50 Cents e le dissonanze da emicrania di Din prima stordiscono e poi tolgono il respiro, le fumose tinte jazz di The Associate, le quasi impercettibili aperture melodiche di Destroy Before Reading, la stravaganza strumentale di Low Rider, gli inserti di organo di Horse e l’inaspettata leggerezza della malinconica Elegy stupiscono in maniera assolutamente positiva. Sono un ottimo esempio di quanto fosse flessibile e originale la visione noise rock dei Jesus Lizard. Imprevedibili e totalmente assurdi, neanche fossero stati cani precipitati dal cielo.

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