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L’apocalisse si è fermata in “Iowa”: l’orrore raccapricciante degli Slipknot

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C’era una volta un gruppo di ragazzi dalle sembianze mostruose e dall’indole molto rabbiosa e violenta. Il titolo di questa favola è Slipknot. Quando conobbi questo gruppo, il primo pezzo che arrivò ai miei timpani fu Wait And Bleed, brano del loro primo e devastante album, “Slipknot” (1999), e devo ammettere che ne rimasi sorprendentemente colpito. Così come rimasi quando vidi chi erano i matti dietro che producevano quella deflagrante musica: maschere horror e divise modello Guantanamo, sicuramente come trovata non era male.

Dopo l’esordio esplosivo del loro omonimo album primogenito, il successivo “Iowa” ha confermato il potenziale della band facendo drizzare nuovamente le antenne agli amanti del metallo, me compreso. Insomma, magari non proprio tutti, soprattutto perché lo stile della band, un mix letale di groove, death, trash, rap, alternative, ha sempre creato opinioni fortemente discordanti sul lavoro della band. Volendoli raggruppare nella branca oceanica del nu metal, i nove mostri hanno attratto su di loro diverse critiche sia per la loro impronta rap-metal, sia perché la loro immagine per alcuni era più simile ad una carnevalata poco significativa. Allo stesso tempo però, anche gli scettici imbattutisi nel progetto, non potevano non essere rimasti colpiti dalla la loro rabbia e imponenza sonora, tale da farne uno dei gruppi più interessanti di quel periodo.

Potendo vantare tra le loro file musicisti e performer di grande spessore, ad esempio il batterista e cofondatore Joey Jordison, questi ragazzoni anche se, per ovvie ragioni, sono stati relegati nel genere nu metal, nel loro cuore di sangue, caos e distruzione hanno sempre avuto una tendenza a cose ben più estreme: riff molto pronunciati e decisi e batteria a martello con ritmi duri e forsennati dipingevano un quadro che sicuramente era degno di attenzione. Quando ascoltai “Iowa” mi resi conto che c’era qualcosa di diverso dal precedente album, per via del fatto che la band mostra, oltre alla rabbia e alla violenza musicale già abbondantemente presenti, anche una tecnica ed una maturazione sorprendente sia nell’esecuzione che nelle capacità di arrangiamento e songwriting.

Una breve intro con una trama drone e disperate urla incomprensibili fa da cappello all’inno antisociale People=Shit, uno dei brani più feroci della band, diventato ormai un cavallo di battaglia nei loro live. Se volete un esempio cristallino di quei riff taglienti e batteria martellante a cui mi riferivo poco fa, ecco l’imponente Disasterpiece. In My Plague così come in Everything Ends, Gently e Skin Ticket vediamo come il gruppo spazia all’interno di una varietà stilistica che alterna delle soluzioni dure ed innovative, senza negare parti di melodico respiro a chi scolta, anche grazie al lavoro della voce di Corey Taylor che passa da rabbia ad armonia con grande proprietà e controllo delle sue corde vocali.

Tra i pezzi più volenti e rappresentativi non solo di “Iowa“, ma della carriera della band sicuramente troviamo anche Heretic Anthem: brano veramente eccellente con tutti gli attributi per fare male, molto male! Certo, sicuramente, l’artwork e l’esplicito riferimento alla simbologia satanica con caproni, 666 e pentacoli, suona tanto di becerata commerciale che sostiene i personaggi e fa scalpore tra pubblico e media. Altro cavallo di battaglia della band dell’Iowa è Left Behind, un lavoro di corale tecnica e qualità: le monumentali ritmiche di Jordison e del compianto Paul Gray, il lavoro grezzo dei percussionisti e showman Shawn Crahan e Chris Fehn, le chitarre dei mastini Jim Root e Mick Thomson e il delirante scratch e lavoro di puntina di Sid Wilson creano un connubio perfetto con la cangiante voce del frontman. Con The Shape e I am Hated ripercorriamo, con vero piacere, i viali del sound del primo album dei ragazzi americani: linee musicali grezze e imponenti così come la vena di rabbia e violenza scandite dalla voce di Taylor.

Dai tempi di “Iowa” sono passati ben diciotto anni e non si può negare sicuramente che, ad oggi per tanti motivi, sia la band che la loro musica sono cambiati. In primis, naturalmente, la morte di Gray e la dipartita di Jordison hanno tolto qualcosa di importante al sound della band, in più le dispute legali, che hanno portato all’allontanamento di Fehn, e i cambi di formazione hanno sicuramente  rischiato di destabilizzare l’importante e mistica coesione che c’era nel gruppo. Ciò nonostante gli Slipknot non si sono mai fatti trovare impreparati in nessuno dei loro lavori, hanno sempre mantenuto un livello soddisfacente, sia in studio e soprattutto dal vivo. Passando per lavori come “All Hope Is Gone” (2008) e “The Gray Chapter” (2014), attraversando pause e momenti di crisi sono riusciti comunque ad affinare il loro sound e a farlo evolvere efficacemente togliendo qualcosa alla follia iraconda che caratterizzava il loro album primogenito. Il nove agosto di quest’anno la band americana ha dato alla luce il loro ultimo “We Are Not Your Kind” e per la sesta volta i ragazzi mascherati dell’Iowa sembrano aver centrato fatto centro.

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