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Alcest – Spiritual Instinct

2019 - Nuclear Blast
blackgaze

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Tracklist

1. Les Jardins des minuit
2. Protection
3. Sapphire
4. L'île des morts
5. Le miroir
6. Spiritual Instinct


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La crescita artistica ed emotiva di Neige e Winterhalter si è arrestata con “Shelter”. Con quello che è stato il loro disco più radicalmente shoegaze e profondamente lucido e lucente era lecito il declino oppure il soffermarsi in fermo immagine su una formula tanto potente quanto rischiosa da ripetere in futuro. “Kodama” è stato un passo di lato e io ci ho messo un paio d’anni a capire il motivo di tale spostamento.

Carenza mia o meno, davanti agli Alcest si è aperta un’ulteriore strada, da molti vista come una retrospettiva delle proprie origini black metal, cosa che si è rivelata falsa. Sì, le proprie radici nel genere ora spuntavano dal terreno, ma sembravano stranamente giovani. Questo perché la prima parte della vita del duo si è spenta là, nel disco dalla copertina luminosa, ora è tempo di muovere un secondo passo. Rispetto al suo predecessore “Spiritual Instinct” è ancor più contrastante ma è meno contratto e aprendosi si scopre meno debole, forse più plastico, ma non meno toccante. Il timore di una nuclearblastizzazione dei suoni, volta a rendere più appetibile il piatto in favore del fan tipo dell’etichetta era un’eventualità, e in parte si è palesata. Il resto è immutato.

La bravura dei francesi di tenersi salde le due anime che convivono nel proprio excursus è ai massimi storici, e la capacità di far coabitare i gradienti black- e -gaze è insperatamente alta. L’istinto spirituale si mostra al mondo, ed è un percorso di crescita, dalla rabbia all’attestarsi della catarsi. Nel cataclisma metallico tra furia e distorsione nei mostri delle viscere si muovono Les jardins de minuits e L’ile des morts, la prima capace di un minimalismo BM arcigno e pareggiato dall’alto numero di grida contrapposte al solito timbro candido di Neige, la seconda con incursioni elettroniche aggressive e scoppi improvvisi di cattiveria rivelatrice. Le miroir è un lungo spiritual albino in perpetua espansione nel quale le chitarre si trasformano, cambiando il paesaggio da disturbato a semiotica del freddo, tra alberi grigi e un sole sulla stessa scala cromatica.

L’amore dark wave crea un legame duro da spezzare, duro come la scorza romantica di Sapphire, semanticamente il gioiello del lavoro, con i raggi della luna a rifrangersi su una melodia, morbida come la carezza di una dea pallida. La sensazione che la preghiera volta a non so quale cielo si estenda fino all’ultimo minuto è rafforzata dalla distesa elettrica della title track, che accompagna verso l’alto, come in un’ascensione che da agnosticismo diviene vera fede in un mondo tra questo e un altro, Neige tiene in sospensione il tempo e Winterhalter disegna l’architettura in un intrico di cunicoli, fino a che una stella non compare all’orizzonte.

Dalle viscere della terra ad un Paradiso sconosciuto, infusi da uno spirito misterico che si affranca dal budello che sono le vite umane, come una ventata d’aria fresca. Un (altro) passo di lato, questo “Spiritual Instinct”, poco coraggioso, dimentico delle coste dell’Islanda viste ormai cinque anni or sono, eppure una sicurezza bella ed intonsa. Ci sono tanti artisti blackgaze, oggigiorno, ma pochi capaci di tale prodezza. Anche se…

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