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Back In Time

“The Ascension”, l’inevitabile decostruzione della realtà

Glenn Branca

Ho sentito parlare di Glenn Branca e del suo capolavoro “The Ascension” molto presumibilmente da un’intervista a Thurston Moore di qualche anno fa. Non mi ricordo il dove e il come, solo che andai subito a cercarlo e c’era già Internet (pensate!), dev’essere stato attorno al 2004 se proprio devo dare una collocazione temporale a questo mio superfluo aneddoto. E insomma, ci misi un po’ di tempo a trovarlo finché tramite un venditore inglese non trovai una ristampa su cd e me o feci spedire. Non è un ascolto facile, a confronto i Sonic Youth sono delle pop star ma ogni tanto me lo mettevo su, con la convinzione che, sentendo l’album che influenzò gran parte di quello che avevo ascoltato fino ad allora, avrei capito i segreti dell’universo. Non fu così, ma “The Ascension” mi fu utile per capire una cosa fondamentale e cioè di non andare sempre a caccia di risposte come un forsennato, bensì di concentrarmi a cercare le domande.

Partiamo un attimo con il ricordare l’ep “Lesson n°1” dell’anno prima, ovvero il 1980, per spiegare il motivo per cui “The Ascension” parte da Lesson n°2. Nell’ ep, contenente la sola traccia del titolo, ci troviamo ancora in una zona sicura in cui il dramma non è ancora iniziato, in cui si trovano ancora le radici, una zona temporale in cui la No Wave non ha ancora fatto la sua nervosa irruzione. Le cose si fanno un filino più serie invece, nell’album in questione: in “The Ascension” prende subito forma l’estetica idealistica e la ricerca di espressione drammatica facendoci partire su un treno in direzione “alcun luogo”. La perdita, il distacco dalla terraferma è evidente, soprattutto nella seconda parte del brano d’apertura in cui delle sferzate di suono metallico ci ricordano che qui si inizia dalla lezione n°2 e se la prima ve la siete persa, non importa. Siamo all’inizio della “No Wave,” del “No” assoluto, l’unico modo per sopravvivere agli incombenti anni 80 è quella di entrare una sorta di quarta dimensione psichica capace di andare contro al crescente bisogno d’illusione. Perciò The spectacular commodity è la porta verso una disorganizzazione dell’equilibrio realistico sfociando in una lunga coda quasi pop.

Glenn Branca

Il mondo è in frantumi, è il 1981, sparano al Papa, sparano a Reagan, le città sono pericolose, non si trova un nesso, sembra che con la fine dei ’70 ci sia stato un distacco epocale, una crisi spirituale, ora c’è necessità di vedere la realtà, vedere l’incombenza di una società che cambia ad una velocità mai vista prima, l’ultima fase critica di tensioni della Guerra Fredda coincide con il primo lustro degli 80, l’ascesa del “the West and the rest”, “The Ascension”, appunto, con una copertina emblematica e allo stesso tempo controversa: un uomo si lascia cadere all’indietro tra le braccia di un altro uomo che, a fatica, riesce a sorreggerlo. Due figure imbevute del contesto temporale in cui vivono, in abiti da lavoro, puliti ed impeccabili, due figure che dovrebbero stare in tutt’altra posizione, eretta, fiera, con un’aria di chi è arrivato negli anni del mito dell’uomo realizzato, che però crollano, quasi fossero due figure religiose di Pietà rinascimentale. Una visione profetica, in cui vi si trova ascesa e caduta, inevitabile, ineluttabile. Così, Structure, la struttura che si incrina, si smaterializza nel suono, nella musica che diviene nient’ altro che una tecnica inferiore della rassomiglianza, una sostituzione dell’occhio umano. Per dominare la realtà e riassorbirla nell’arte. Realtà pregna di bisogni estetici, mentali, costruiti; che però diventa unico modello possibile e la musica ne esegue una fotografia, magari sfocata, deformata, ma essa deriva dalla sua genesi ontologica, la musica diventa la realtà e modello assoluto di se stessa.

La traccia omonima chiude “The Ascension” in una dimensione urbana, frenetica, incubo Langhiano del lontano Metropolis divenuto realtà, senza la profetica eroina Maria a salvare l’umanità dall’aver dimenticato che il mediatore tra cervello e mani deve essere il cuore. E l’antidoto può solo essere la decostruzione. La tabula rasa. E i suoni sono proprietà sovrannaturali indispensabili alla verosimiglianza, sembra che Branca funga da canale, da cavo elettrico tra ciò che non abita questo mondo ma che cerca di arrivarci con messaggi di avviso. Glenn Branca divenne così il Beethoven, il Bach dell’underground degli anni a venire, senza il quale avremmo avuto molto meno da parlare, da scrivere, da ascoltare.

Glenn Branca

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