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Liturgy – H.A.Q.Q.

2019 - YLYLCYN
post black metal

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Tracklist

1. HAJJ
2. EXACO I
3. VIRGINITY
4. PASAQALIA
5. EXACO II
6. GOD OF LOVE
7. EXACO III
8. HAQQ
9. . . . .


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Dopo averlo trasceso, ed evidentemente ucciso, Hunter Hunt-Hendrix torna al black metal e lo fa con la precisa intenzione di farlo implodere, accartocciare su se stesso e mutare un’altra volta, come se il suo lavoro di transizione verso lo spazio aptico – il vuoto e culmine ultimo della musica estrema che lui stesso ha teorizzato – non fosse ancora raggiunto, né mai raggiungibile, creando quell’insoddisfazione che porta l’arte ad essere Arte, in piena e inarrestabile formazione.

Se “The Ark Work” si ritagliava un suo luogo morboso nell’alveo operistico degli ottoni e della loro solare magniloquenza e lo faceva a pezzi con accelerazioni e stangate che di metal avevano solo un sostrato leggero, con una voce morbida più Neige che Dead, “H.A.Q.Q.” (ovvero “Haelegen Above Quality And Quantity”) è una reprise delle origine iperboree del genere in cui i Liturgy si rifanno al defunto cantante dei Mayhem, ancora una volta, con Hunt-Hendrix che veste tutti quanti i panni che ha indossato fino ad oggi, rinnovandone colore e forma.

Tra le furiose ondate nere che costituiscono l’album il cantante/chitarrista cela pensieri vulnerabili, domande eterne e risposte che tardano ad arrivare, percorsi sulla sanità mentale e sulla religione in una “univoca, marxista e psicanalitica visione di Dio”, come ha modo di sottolineare la band stessa. Quindi, di nuovo, il black metal come intenzione profonda in ottemperanza ai propri stilemi di setaccio di un abisso umano, frapposta al comunemente inteso “machismo” orrendo e spesso fascista di un immaginario che troppo spesso si è spinto in là, alimentato dalla visione popolare del movimento stesso. Come chi vide in Wagner una potenza illusoria ed invece nascondeva tutto il dolore e l’inadeguatezza dei suoi personaggi.

Al posto dei summenzionati fiati prendono posto in mezzo al quartetto arpe, vibrafoni, archi di varia entità, hichiriki e ryuteki (due strumenti a fiato del folklore giapponese) e il pianoforte. Proprio quest’ultimo strumento è protagonista di EXACO I e II: se vi siete mai domandati come sarebbe un pezzo BM per solo piano questi due brani sono la risposta, il primo veloce, carico e strabordante, con una cascata di note lucenti, il secondo come sua coda naturale, spiazzante, calmo e delicato. Se già nel suo predecessore i glitch elettronici facevano la loro comparsa, ora gli “errori” sintetici è facile compaiano direttamente sullo spartito come vere e proprie pause che sospendono il tempo, come sulla epica title track, introdotta da quello che pare il tema principale di un videogame da cabinet anni ’80, presto si tramuta in una rovinosa caduta di massi in burst beat, spezzati a più riprese dalle glitchate fino al punto che prima dell’esplosione epica finale il brano pare incepparsi, quasi come quando i CD si rigavano.

HAJJ è una tempesta emotiva al calor bianco, in cui strumenti classici si avvitano a quelli elettrici andando a formare un unico crescendo d’intensità sul quale si abbatte la voce ferale di Hunter mentre la batteria di Leo Didkovsky (sostituto di Greg Fox) si dibatte scardinando di continuo accenti e velocità allucinanti. VIRGINITY e i suoi cori alieni si fanno spazio nel delirio. PASAQALIA abbatte i bpm ed è un viaggio ascendente, una mareggiata melodica disperata e lacerante, trafitta dal glockenspiel che si insinua come fosse una paranoia costante mentre il mondo attorno va in mille pezzi. GOD OF LOVE un inno a palmi rivolti verso il cuore, orchestrale deliquio mutato in epicità metallica che sferraglia impazzita da una parte all’altra della stanza, sempre più feroce, più veloce, più pressante a squagliarsi in silenzi significativi e ripartire.

Nell’estasi enfatica della violenza e nel tormento umano si cela dunque una luce che in pochi riescono a vedere. Se vi concentrate bene la scorgerete negli angoli di “H.A.Q.Q.”.

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