Siamo davanti ad una nuova narrazione e a temi che nessuno ha mai trattato prima? In effetti no. Come abbiamo menzionato sopra, già qualche decennio prima di questo album, personaggi come Bob Dylan, Woody Guthrie e Joan Baez avevano portato in Folk le ingiustizie sociali e canzoni di protesta. Ma quello che colpirà l’opinione e l’attenzione dei molti, non sarà solo la sua attualità, la “schiettezza” ma che sia soprattutto una figura popolare come quella del Boss a metterci la faccia, schierandosi così apertamente. Siamo del resto a metà degli anni ’90 ed è indubbio che l’America abbia una crisi sociale ed economica a ribollirle sotto il tappeto immacolato di casa. Lo cantavano quasi contemporaneamente i Nirvana, i Pearl Jam, e lo stesso Tyler Durden – personaggio fittizio inventato da Chuck Palahniuk nel suo libro cult, “Fight Club”, accenna ad una “crisi spirituale” di un paese che già allora iniziava a sperimentare gli eccessi di un liberismo sfrenato, ed un sistema economico viziato dalla cultura del debito senza reali adeguate precauzioni.
Purtroppo il disco arriverà solamente undicesimo in classifica, venendo ignorato dal grande pubblico, al di fuori delle riviste specializzate di musica che invece lo osannano. Eppure la sua influenza stilistica sarà molto importante per le nuove generazioni di musicisti americani, che ritroveranno nel Folk il mezzo giusto per esprimere un disagio che allora, come il passato, è ancora presente, sebbene ovviamente siano cambiati i mezzi e la società a contornarlo. Inoltre contribuirà a sdoganare una narrativa americana sempre meno idealizzata e smagliante, come il liberismo repubblicano l’aveva dipinta negli ultimi anni, ma più cruda e realista (forse troppo, per le capacità di accettazione dei contemporanei), maggiormente attraversata da invidie, cupidigia ed un arrivismo economico e sociale nel quale ogni fine giustifica i mezzi, dimenticando il resto degli americani: coloro che non hanno creduto al sogno americano, o che ne sono stati estromessi per le loro diversità.
Sono questi gli americani di cui Springsteen sceglie di cantare in questo album targato 1995, e che ancora oggi riecheggia tristemente contemporaneo, visto che le cose in America non sono cambiate più di tanto, e se si non in meglio.