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William Patrick Corgan – Cotillions

2019 - Martha's Music
americana

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Tracklist

1. To Scatter One’s Own
2. Hard Times
3. Jubilee
4. Fragile, The Spark
5. Cotillions
6. Faithless Darlin’
7. Colosseum
8. Martinets
9. Buffalo Boys
10. Dancehall
11. Cri de Coeur
12. Like Lambs
13. Rider
14. Apologia
15. Neptulius
16. 6+7
17. Anon


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Un mio eminente collega sulla recensione di “Ogilala”, secondo album solista di Billy Corgan e primo con il suo nome di battesimo William Patrick, si chiedeva se mai il frontman degli Smashing Pumpkins sarebbe mai riuscito a trovare l’elemento che lo avrebbe reso unico. Ebbene, no, non ancora, almeno. Forse è questo è il bello di WPC, ciò lo rende fastidioso tanto quanto affascinante.

Ad ogni giro di boa spariglia le carte in tavola, e non sempre riesce nell’intento di rapire, non negli ultimi anni almeno. Ha cambiato idea così tante volte su quello che sarebbe stato il suo percorso che ci si può perdere, e il disco doom che non è mai uscito, e il ritorno degli SP, e la scaletta autocelebrativa che un po’ di anni fa l’idea gli dava il voltastomaco, sempre per citare il collega di cui sopra sembrava dirci, per vie traverse “Ciao, sono William Patrick Corgan e non ci sto capendo più un cazzo”. Ma il tempo passa, e questo non capirci assolutamente nulla porta anche cose buone. Onestamente “Ogilala” non mi piacque più di tanto – anche se di nascosto qualche brano me lo ascolto ancora – “Cotillions” invece è una sorpresa, a tutti gli effetti, ed è l’ennesimo cambio di rotta. Così, al posto di un album doom metal, Corgan decide di guardare al passato, alla terra polverosa degli Stati Uniti, e annuncia un album Americana. Un genere che adoro. Un genere che a maggior ragione un ragazzo dell’Illinois adora e che pare saper maneggiare con una cura sbalorditiva.

Non credevo che con la sua voce nasale sarebbe riuscito a far vibrare il folklore delle origini, che di solito si sono avvalse di voci scure e profonde, e questa è un’altra gradita sorpresa. Pur non puntando timbricamente agli abissi, WPC è in grado di dare a queste 17 canzoni quel tocco di malinconia, amarezza e fioca luce proprio di questo splendido genere musicale. Per dar loro vita viaggia tra Chicago e, ovviamente, Nashville, la cui influenza è imprescindibile se si vuole scavare nel country e nel sentimento. Un uomo solo con la sua chitarra davanti al microfono, qualcuno che si unisce a lui nel viaggio (l’immancabile Schroeder, l’australiana Katie Cole e alcuni autoctoni nashvilliani) e una tonnellata di melodie pazzesche. I cori e synth che fanno da sfondo a Colosseum danno profondità, il lunare oblio di To Scatter’s One Own, Fragile, The Sparks e della nineties ballad Rider spazzano via, e la title track è fiammata pianistica immensa, strabiliante e grigia gigante come il cielo d’America.

Melodie disadorne e iper classiche come quelle di Buffalo Boys e Dancehall (con tanto di violini d’ordinanza), lo struggle di Hard Times e della delicata Faithless Darlin’, le movenze efficaci e high di Cri De Coeur coi suoi vocalizzi strozzati si battono con il pop-folk a tinte scure e vibranti di Like Lambs, un quasi-gospel toccante che spicca il volo su un paio di solo lapidari. L’afflizione di Neptulius è cantilena nella notte più scura, quella di Anon, che piano, voci e synth chiude dolcemente la porta di casa.

Mi era mancato questo William Patrick, quello che mi fa emozionare con un pugno di melodie e niente più.

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