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Soccer Mommy – Color Theory

2020 - Loma Vista Recordings
songwriting / dream pop

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Tracklist

01. bloodstream
02. circle the drain
03. royal screwup
04. night swimming
05. crawling in my skin
06. yellow is the color of her eyes
07. up the walls
08. lucy
09. stain
10. gray light


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Happiness is like a firefly
On summer evenings
Feel it slippin’ through my fingers
But I can’t catch it in my hands

Una cosa è certa: vestire i panni del musicista, di questi tempi, dev’essere tutt’altro che uno scherzo. Vivere in tournée ai tempi del coronavirus, campando di vendite online nell’era degli sciacalli dello streaming. Nel caso di Soccer Mommy, all’anagrafe Sophie Allison, le situazione è ancora più tragica, perchè la precarietà non è solo lavorativa, ma mentale: parliamo di un’anima fragile e depressiva, costretta a crescere violentemente sotto le pressioni di una carriera esplosa prematuramente e di una madre malata terminalmente. Non a caso in “color theory“, suo secondo LP, la ventiduenne cantautrice di Nashville dipinge sé stessa utilizzando delle tonalità ben precise, riflesso del suo tumulto emozionale: blu (depressione), giallo (ansia) e grigio (caducità).

Per chi ancora non avesse ascoltato il suo album di debutto, “Clean“, uscito nel 2018 e votato disco dell’anno dal The New York Times, quello di Sophie è un indie rock “classico” con distorsioni in sordina, iniettato di dream-pop, che cerca di portare le lezioni di Jeff Buckley e Slowdive nell’era di Mitski e Taylor Swift. “Chill but kinda sad”, come direbbe lei. Assemblato tra le mura di Loma Vista, casa di St. Vincent, Local Natives ed Andrew Bird, sotto la supervisione di Gabe Wax, produttore di War On Drugs e Deerhunter, “color theory” cementa definitivamente il nome Soccer Mommy nell’albo delle giovane promesse del cantautorato femminile a stelle e strisce, al fianco di artisti quali la sopracitata Mitski, Michelle Zauner (Japanese Breakfast), Jay Som, Phoebe Bridgers e Snail Mail.

Da buona rappresentante della Gen Z qual’è, Sophie ci regala innanzitutto una discreta carrellata di perle figlie del pop di fine anni Novanta e primi anni Zero: si pensi alle derive atonali dell’introduttiva bloodstream o ai (solo apparentemente) euforici riff di circle the drain. Se vi dicessi che – come per magia – Avril Lavigne ed Alanis Morissette si fossero messe a fare qualcosa di buono, mi credereste? Tra gentili saliscendi (crawling in my skin) ed arpeggi al chiaro di luna (night swimming), la giovane cantautrice americana riesce a tirare in ballo i Real Estate come Lana Del Rey, gli Alvvays come i Big Thief, rivelandosi un’artista ben più malleabile di quanto “Clean” ci avesse fatto credere.

Il meglio di Soccer Mommy esce però quando guarda alla prima metà degli anni Novanta, come nei lunghi respiri grunge-pop di royal screw up, che sembrano usciti dalla penna del compianto Kurt Cobain, o in up the walls e lucy, che strizzano decisamente l’occhio ai Radiohead di “Pablo Honey” (lucy, in particolare, ricorda vagamente Creep). Possiamo poi solo immaginare l’influenza che deve aver avuto su un brano come stain il buon vecchio Elliott Smith, vero maestro di quello che oggi chiamiamo (con un pizzico di superficialità) “sad-pop”. I sette minuti da pelle d’oca di yellow is the color of your eyes, piazzati non a caso nel bel mezzo del disco, sembrano portarci ancora più indietro nel tempo, all’ombra del dream-pop e dello shoegaze di fine anni Ottanta. Ma proprio quando crediamo di aver capito tutto, persi nei ricordi, ecco arrivare gray light: tremoli, slide guitars, inaspettati riavvolgimenti e ritmiche digitalizzate si intrecciano in una malinonica suite al rallentatore emblematica di tutte le belle cose che le nuove generazioni di songwriters hanno in serbo per noi.

È evidente che Soccer Mommy abbia avuto qualche problema a gestire il successo di “Clean“, la solitudine e lo stress del conseguente tour intensivo a fianco di Vampire Weekend, Wilco, Liz Phair e Paramore. “color theory” nasce dunque come il diario di un’artista tormentata, che combatte ogni giorno con mostri che rispondono ai nomi di depressione, ansia e paranoia. Una battaglia che finisce spesso e volentieri a pugni con la pallida figura riflessa sullo specchio del bagno, con la giovane donna le cui rosee guance perdono colore giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Bussando alla porta, possiamo quasi sentire la voce di Sophie sussurrare gentile “ho quasi finito, arrivo subito”, mentre un fiume rosso scorre impetuoso dalle sue nocche nei mendri del lavandino. Dal canto nostro, ci godiamo questo giovane talento augurandole di riuscire a catturare al più presto quella maledetta lucciola (“firefly”).

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