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The Vacant Lots – Interzone

2020 - Fuzz Club Records
post-punk

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Tracklist

01. Endless Rain
02. Into The Depths
03. Rescue
04. Exit
05. Fracture
06. Payoff
07. Station
08. Party's Over

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Interzone” è il terzo album in studio per i The Vacant Lots, duo newyorkese pioniere in quello che la critica definisce “electro post-punk”, un irresistibile miscuglio di dance anni Ottanta e rock’n’roll tinto di psichedelia. Della serie “minimal means, maximum effect”, un mantra traslato alla perfezione da Ivan Liechti nell’estetica del disco.

In quasi dieci anni di attività, Jared Artaud e Brian MacFadyen hanno collaborato prima con Sonic Boom (Peter Kember, ex-Spacemen 3) e Dean Wareham (Galaxie 500) nell’album di debutto “Departure” (2014), poi con Alan Vega (Suicide) in “Endless Night” (2017) e più recentemente con Anton Newcombe (The Brian Jonestown Massacre) negli EP “Berlin” (2016) e “Exit” (2019). Quella dei The Vacant Lots è dunque una storia ricca di influenze, che tocca diverse generazioni di psych-rockers “di culto”, e si sente.

L’opener Endless Rain ci sorprende subito alla maniera dei New Order (o – per citare dei contemporanei – degli inglesi The KVB) con insistenti drum-machine dal retrogusto goth ed ipnotici riverberi che gridano eighties. Non è certo da meno la successiva Into The Depths, in cui gelidi sintetizzatori darkwave esplodono su ritmiche chiaramente ispirate dal krautrock di fine anni Settanta. Le disco-hits Rescue e Exit ci regalano poi un vero e proprio momento di estasi cotonata, tra riff di chitarra tutti The Jesus and Mary Chain e pesantissime linee di basso che riempirebbero d’orgoglio Peter Hook.

L’appiccicosissimo synth-pop di Fracture ci ricorda i concittadini A Place To Bury Strangers così come i losangelini Sextile, mentre la minimal-wave di Payoff, pezzone da club con tanto di robotiche spoken words, ci spinge in pista rivisitando i protocolli del sopracitato Sonic Boom (a sua volta ispirato dai divertissement digitali dei Kraftwerk) e strizzando l’occhio alla newyorkese DFA Records (The Rapture, LCD Soundsystem). Il compito di calmare le acque è lasciato alle desertiche vibrazioni di Station, che ricalcano le orme dei Moon Duo di “Stars Are The Light”, mentre i pigri accordi di Party’s Over chiudono il disco alla maniera dei The Brian Jonestown Massacre di “Aufheben”, lasciandoci con un retrogusto oppiaceo che vorremmo non sparisse mai.

Bloccati su coste diametralmente opposte degli States a causa del lockdown, i The Vacant Lots si sono visti costretti a mettere insieme questo terzo capitolo sostanzialmente via email, prima di trovarsi a Brooklyn e registrare il tutto alla velocità della luce con l’aiuto di Ted Young e Maurizio Baggio (The Soft Moon, Boy Harsher). Ispirato dal concetto di “dualità”, da William S. Burroughs e (più ovviamente) dai Joy Division, “Interzone” si presenta come la colonna sonora perfetta per una serata estiva: comincia con un bell’aperitivo sul terrazzo di casa, si muove deciso in direzione del club, si scatena motoriko sul dancefloor e si conclude con un allucinato after-party sulla spiaggia aspettando l’alba.

Davvero difficile resistere al fascino dei The Vacant Lots, ragion per cui dobbiamo ancora una volta alzare le mani di fronte alle intuizioni della londinese Fuzz Club Records, la cui scuderia si fa di giorno in giorno più solida e variegata. “Interzone” è un disco pigro ma ambizioso, che si impegna a trascinare l’underground sul dancefloor per ridefinire l’idea di cool. Che dire? Trenta minuti a prova di proiettile.

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