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B R I Q U E V I L L E – Quelle

2020 - Pelagic Records
post metal

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Tracklist

1. Akte VIII
2. Akte IX
3. Akte X
4. Akte XI
5. Akte XII
6. Akte XIII
7. Akte XIV
8. Akte XV


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L’Europa oscura, che cela segreti e nelle ombre fa nascere leggende, fantasmi, mostri. B R I Q U E V I L L E, un nome che ne nasconde cinque, come le identità dei suoi componenti, che come ormai tante band scelgono di non rivelare la propria, avvolgendo i corpi nel manto nero dei Nazgûl di Tolkien e il viso ben difeso dietro bauta dorate. Tanto semplice quanto complesso il proprio discorso, iniziato ormai sei anni fa e che oggi nemmeno la pandemia può fermare.

Anzi, è proprio la pandemia il propulsore, il motore che da’ il via alla combustione che porta il quintetto belga a bruciare la benzina che muove la macchina intitolata “Quelle”, “fonte” in lingua teutonica, “quale” in quella d’Oltralpe. Una macchina che freme e trema, che nelle attese e nei silenzi trova ispirazione ma che li tramuta in massimalismi funebri e rituali. In quadri ad olio che s’incendiano al solo sguardo, luci che sfumano per poi riaccendersi e fibrillare. L’isolamento come idea, soluzione a cui non si può rinunciare per sopravvivere. Non vedersi ma sviluppare idee che si propagano in ogni direzione possibile e immaginabile.

Post-rock, potremmo chiamarlo, ma non basterebbe. “Quelle” è barocco, sì, ma nel senso più intrigante e positivo possibile, è spesso fermo ma si muove inaspettatamente, come la Terra, che ci accoglie e distrugge. Ogni brano è un Atto numerato, come gli Epitomi della trilogia del Triplo Sette dei Blut Aus Nord (altri famigerati mascherati), e che tende il filo rosso del proprio destino attraverso la discografia dei cinque. Intenso, brulicante di sfiancanti distorsioni utilizzate come archi violenti e muscolari che all’unisono colpiscono duro spezzando specchi interiori, un’orchestra metal dai toni magniloquenti.

A volte sembra che ci sia del jazz a strisciare tra le chitarre, un jazz privo di interplay, perciò alienato e privato della sua dimensione ideale, freddo e austero, altre invece il rituale passa da sezioni ritmiche ondulatorie che guardano ad antiche popolazioni perdute nel tempo intente a muoversi in marcia per darsi battaglia. Se invece il sogno riluce nella terra dei sonnambuli è un’onda neofolk, quasi black raggelante di quello melodico e crudo degli Ulver che furono, senza movimento, intenti solo a registrate alla luce delle candele. Passi inquietanti e doom, segmenti elettronici che imperanti dominano la scena e la spazzano di luce kosmische nelle ombre di anime tormentate, kraftwerkianismo inchiodato alla croce da chitarre perforanti.

Quelle”, una fonte di domande aperte, quali che siano le risposte l’unica cosa che sappiamo è che suona come un enorme fantasma strumentale. C’è vita oltre il post-.

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