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King Gizzard & The Lizard Wizard – K.G.

2020 - Flightless
psych rock / folk

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Tracklist

1. K.G.L.W
2. Automation
3. Minimum Brain Size
4. Straws in the Wind
5. Some of Us
6. Ontology
7. Intrasport
8. Oddlife
9. Honey
10. The Hungry Wolf of Fate


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Oltre all’essere, dietro l’aspetto ironico e dissacrante, tra i più pretenziosi e, perché no, talentuosi musicisti dell’ultima decade, adattatisi ai più disparati generi, sonorità, sperimentazioni più o meno celate e capaci di unire una metodologia ancor oggi fondamentalmente do it yourself a una cura dei dettagli mai così vicina ai loro antesignani dei seventies, uno dei motivi che hanno trascinato al successo i King Gizzard & the Lizard Wizard risiede nel loro assecondare musicalmente uno dei nostri desideri più semplici e al contempo profondi: essere liberi. Nell’attitudine, ancor prima che musicalmente, sono i veri esponenti moderni del free your mind, disinteressati a qualsivoglia tendenza e logica, pronti a premere l’acceleratore su ogni stravagante pensiero demodé e assimilare suoni lontani nel tempo e nei luoghi risputandoli fuori in una proposta in continuo mutamento, priva di ogni teorema di componente evolutiva ma molto meno semplicistica di quello che un’analisi superficiale potrebbe rivelare.

Certo, tale libertà a volte è vincolata ai nostri legittimi gusti: limitandoci ai due lavori temporalmente più vicini, se Infest The Rats Nest rende omaggio al thrash metal in un’operazione tanto spontanea quanto ispirata, Fishing For Fishies è invece un poco convincente neo-psych pop/rock. Insomma, troveremo anche in questo frastornante 2020 una (non) certezza a cui aggrapparci: il nostro manipolo di scalmanati australiani ci servirà l’ennesimo mix di stramberie rock assortite.

Fortunatamente, “K.G.” riabbraccia in parte il riuscito esperimento di “Flying Microtonal Banana”, uno dei più bizzarri e creativi concetti proposti nel rock contemporaneo, con chitarre microtonali autocostruite e altri strumenti tradizionali registrati in tuning di un quarto di tono, abbandonando però l’utilizzo di melodie predeterminate ispirate alle improvvisazioni dei maqams turchi per avvicinarsi ad un più canonico revival del revival psych rock underground degli anni novanta, quello a volte sporcato di chitarre shoegaze ma anche pregno di psychedelic folk e dall’impatto melodico di certo coevo alternative rock…quello di Sun Dial o The Bevis Frond, per intenderci, ed è infatti un rinnovato pantheon di cliché e visioni lisergiche intriso di fascinazioni Anatolian Rock, ma in una veste ora più coesa e controllata. 

In Automation i microtoni donano un andamento mediorientale per confluire in un intenso guitar-pedaling che sfocia in un wall of sound accerchiante, ma Stu MacKenzie & Co intraprendono una via maggiormente acustica in vari episodi e, al grido di drop all the pedals and pick up the acoustics!, in Honey strizzano l’occhio all’avant folk cospargendolo di salsa funky, mentre Straws in the Wind è un alt rock catchy impreziosito però da un arrangiamento quasi barocco e un arpeggio rimembrante il folk rock progressivo, con Some of Us che invece riprende il suono effettato e affoga l’incedere melodico canterburiano in un chorus oceanico con sventagliate microtonali di chitarra che portano alla mente Erkin Koray. Seppur una critica cinica e dalla dovuta perizia contrasterebbe decisamente con l’ascendente menefreghista dei King Gizzard & the Lizard Wizard, potremmo parlare della produzione pulita, del suono compatto, la sensazione d’esplorazione più che mai combinata a un solido songwriting dove le escursioni strumentali sono rilette e compresse in un formato più canonico…e che forse anche per questo “K.G.” corre il rischio di accontentare pochi.

Alcuni rimpiangeranno gli attimi più audaci e dilatati del passato, ma in delle fondamenta apparentemente più semplici è stato riproposto lo stesso intento di libertà di visione elevato in una scrittura più lineare ma di qualità eccelsa, pura gioia nel realizzare musica senza preconcetti. Rimane comunque un piccolo museo retrò e, nuovamente, entra in gioco il nostro personale gusto: chi ha passato mesi nel vortice della mitologica Top 100 di Terrascope, prima nel tentativo di recuperare tali artefatti psych rock del sottobosco e poi perdendosi nel loro ascolto, rimarrà ammaliato da un album che avrebbe potuto far parte di quella straordinaria lista, perché “K.G.” è essenzialmente una raccolta di fantastiche canzoni (acide).

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