Impatto Sonoro
Menu

Back In Time

“Incesticide”, il santuario del punk dei Nirvana

Amazon

Il successo è una maledizione, e Kurt Cobain ce l’aveva scritto in faccia. Qualche mese dopo “Nervermind” stava già fuggendo, da quello che era diventato e dal suo mito. Era un giovane Re, triste e ferito, alla ricerca dell’innocenza perduta, e qualunque fosse il suo piano “Incesticide” ne coglieva perfettamente l’essenza di eroe involontario di una generazione a corto di santi.

Pur con tutti i limiti imposti dalla sua natura disordinata e frammentaria, questa raccolta (b-sides, singoli, cover) suonava comunque emotivamente e moralmente ammirevole, anche se non  si era mai sentito un Cobain così mediamente lontano da quel “..è meglio bruciarsi in fretta che sparire lentamente…” col quale abbassò per sempre la saracinesca sui suoi occhi chiari. Piene di spudorato candore e primordiale energia, le canzoni di  “Incesticide” sarebbero poi parse lontane  dall’odissea inquieta e  sconsolata di  “In Utero“, e divampavano dunque libere dal peso della fama e da qualsiasi aspettativa. Erano i Nirvana che stavano mettendo il naso fuori dal proprio scantinato, ma non sapevano ancora quello che c’era dall’altra parte.

Ovviamente, nessuna di queste canzoni poteva aggiungere qualcosa alla reputazione raggiunta, almeno non nell’accezione artistica: alcune avevano l’aria di non essere nemmeno pronte per essere incise, ma a leggerne il fondo era facile capire quanto fosse urgente mostrare al mondo la propria vulnerabilità, anche a costo di far sembrare la perfezione di “Nevermind” un’esaltante anomalia. La Dive urlata in capo alla scaletta, anche perché già edita come singolo, non lasciava molti dubbi sull’intenzione di schivare le attese e ritornare a piedi pari nella garageland dalla quale provenivano.

La band che aveva fatto dell’angoscia una tendenza e dell’inadeguatezza un’arte, stava forse scusandosi del troppo successo? Di certo, l’onestà è pericolosa, soprattutto per una rockstar. Per Cobain era l’unica via di fuga, almeno nell’immediato, e “Incesticide” ci diceva molto del dolore e del talento di quest’uomo. Ecco quindi la furia hard di Aero Zeppelin e  dell’epilettica Aneurysm, un  pezzo che dal vivo avrebbe fatto scintille. Been A Son stava da qualche parte tra il pop e i Dinosaur Jr., e Sliver recuperava il power punk dei primi Replacements, una band che nel proprio momento migliore dava la birra a chiunque.

Copertina e titolo dell’album rinnovavano la proprietà prigenia del rock’n’roll di spaventare, come fu con Elvis, Lou Reed e i Suicide. Qualche canzone bruciava meno di altre, ma stava lì apposta per smantellare l’idea di un gruppo perfetto. Quella Polly per la quale Sua Maestà Bob Dylan esclamò “questo ragazzo ha un’anima” veniva rivista e accelerata  senza perdere il carico di orrore che si portava addosso. Nel santuario punk di “Incesticide” entravano pure una cover dei Devo (Turnaround) e due dei Vaselines (Son Of A Gun e Molly’s Lips), un complesso scozzese che suonava un bubblegum pop che sembrava arrivare dal sottoscala dei Velvet Underground. Li amava così tanto Cobain, che chiamò la figlia Frances proprio come la cantante della band.

Dite quello che volete, ma “Incesticide” fu un atto di coraggio, a cominciare dalle note di copertina: “…se qualcuno di voi odia in qualche modo gli omosessuali, le persone di colore diverso o le donne, per favore fateci questo favore, lasciateci in pace! Non venite ai nostri spettacoli e non comprate i nostri dischi….”

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati