Impatto Sonoro
Menu

Retrospettive

L’uomo dalla maschera di ferro: lo stile inconfondibile di MF Doom

Nel momento in cui sto battendo queste righe, la notizia MF DOOM abbia abbandonato le proprie spoglie mortali circola da neanche dodici ore eppure, avverto già chiaramente come il vuoto che ha lasciato sarà incolmabile. È quello che si dice di ogni artista scomparso, direte voi. Beh questa volta è maledettamente vero, garantisco io. Figura iconica e misteriosa al punto da mandare a esibirsi in sua vece qualcun altro opportunamente camuffato in numerose occasioni (con esiti catastrofici quando il trucco veniva scoperto), schivo e riservato ai limiti della sociopatia: in oltre trent’anni di carriera le interviste concesse si contano sulle proverbiali dita di una mano. Una reputazione di villain cementata dalle proprie azioni concrete, oltre che dai continui riferimenti al personaggio dei fumetti a cui aveva preso in prestito il nome: disprezzava ferocemente non solo l’industria discografica ma anche il pubblico che gli consentiva di guadagnarsi da vivere, al punto da inventarsi di avere una folle paura di volare per giustificare l’assenza dai molti festival europei in cui veniva invitato a performare. Considerando che i suoi rientri nella natia Inghilterra furono sempre frequenti e documentati, la cosa era difficilmente credibile. Non a caso le lettere M e F, stavano sì per “Metal Face (o Fingers)” ma anche per “MotherFucker”. 

Daniel Dumile era nato a Londra ma i suoi genitori si trasferirono presto a New York portandolo con sé, facendogli sviluppare un rapporto così conflittuale con la nazione d’adozione che preferì non prendere mai la cittadinanza statunitense, rimanendo suddito di Sua Maestà fino alla fine. Un giovane nero in condizione di assistere ai primi vagiti della cultura hip hop nel luogo tutt’oggi considerato la sua Mecca, non poteva che rimanere travolto dalla sua potenza espressiva e immaginifica. Scelto il monicker Zev Love X, sul finire degli anni ’80 fonda insieme al fratello minore DJ Subroc i KMD (Kausin’ Much Damage), riuscendo quasi subito a strappare un contratto a una major come l’Elektra e ottenendo un dignitosissimo undicesimo posto nella classifica rap di Billboard col singolo Peachfuzz. Non altrettanto fortunato sarà l’LP d’esordio Mr Hood”, il quale consentirà comunque al gruppo di esibirsi a supporto di artisti allora (1991) sulla cresta dell’onda come A Tribe Called Quest, Brand Nubian e De La Soul.  

I presupposti per un sophomore album col botto ci sarebbero tutti ma come spesso accade, la sciagura è dietro l’angolo: nel 1993 Subroc muore investito da un’auto proprio all’uscita dallo studio in cui stava apportando i ritocchi finali. Come se non bastasse questa tragedia personale a rendere tutto più difficile, l’Elektra si rifiuta di pubblicare il disco: un titolo come “Black Bastards e un artwork raffigurante l’impiccagione di uno schiavo, sono considerati troppo pericolosi nell’America post Rodney King. Inoltre i testi non fanno sconti nemmeno alla stessa popolazione afroamericana, apertamente accusata di scarsa volontà di emancipazione e totale asservimento ai dettami del materialismo a stelle e strisce, incarnato in maniera evidente anche nella maggior parte delle produzioni hip hop dell’epoca (e di oggi). Brani come “What A Nigga Know?” e “Constipated Monkey” farebbero rabbrividire qualunque onesto attivista del movimento Black Lives Matter. 

Profondamente amareggiato e deluso, Daniel passa il lustro successivo praticamente chiuso in casa a testare ogni possibilità consentitagli da giradischi, campionatori e sequencer. Da grande appassionato di fumetti e animazione, temi onnipresenti nelle sue liriche, finisce per immedesimarsi col personaggio di Victor Von Doom. Rimasto orribilmente sfigurato in seguito a un incidente causato dalla manomissione di Ben Grimm (per i profani: La Cosa dei Fantastici 4) al macchinario che stava sviluppando per poter comunicare coi defunti, e non da un suo errore di calcolo come l’insopportabile compagno di studi Reed Richards gli avrebbe poi ribadito per anni, da quel momento mosso da un insaziabile desiderio di vendetta nei confronti del genere umano. La vendetta di DOOM ai danni del music business invece, sarebbe stata da consumarsi rigorosamente a colpi di beat obliqui, schemi metrici intricatissimi e rime in perenne bilico tra il criptico e l’esilarante, scivolando spesso e volentieri, da ragazzo inglese cresciuto a sane dosi di Monty Python qual era, nel nonsense puro. Nel ’97 il tutto viene impacchettato nel triplo singolo in vinile “Dead Bent/ Gas Drawls/ Hey!”, pubblicato a spese proprie e che gli abitanti di Long Island e zone limitrofe, si precipitano a comprare memori delle gesta dei KMD e incuriositi da questa nuova incarnazione del loro leader. I tempi per un nuovo LP sono maturi.

n un periodo in cui il pubblico iniziava sempre di più a identificare il rap con suoni patinati e video pacchiani, nessun discografico sano di mente si sarebbe mai accollato un così probabile suicidio commerciale. Comunque sia, il rifiuto del suo precedente lavoro brucia ancora fortissimo e di suddetta categoria di individui, Daniel non vuole sapere davvero più nulla. In aiuto del maggiore dei fratelli Dumile giunge però il dj radiofonico Bobbito Garcia, conduttore di un programma che ha già dato un notevole contributo all’uscita dal fango di nomi tutt’altro che facili da commerciare quali Company Flow e Kool Keith, nonché titolare di una piccola etichetta indipendente. Non c’è davvero niente da perdere: nell’Aprile del 1999 “Operation: Doomsday” si affaccia timidamente sugli scaffali dei negozi della Grande Mela. Per la prima volta dopo anni la fortuna torna a sorridere all’artista: il successo è davvero clamoroso per un lavoro così atipico, caratterizzato da un sound che più lo-fi non si potrebbe, un rhyming davvero mai sentito prima e possibilità promozionali che definire limitatissime sarebbe un eufemismo. Le ristampe iniziano a susseguirsi andando sempre esaurite in pochi giorni e finalmente nel 2001, DOOM può permettersi di aprire la propria etichetta, fare finalmente sentire al mondo il coraggiosissimo “Black Bastards” ed esportare anche nel Vecchio Continente la propria musica. 

Creato il culto, non rimane che battere il ferro finché è caldo. Tra il 2002 e il 2005 escono la bellezza di tredici album col nome di MF DOOM in copertina (o altri fantasiosi pseudonimi), tra solisti e collaborativi. I meglio noti sono senz’altro lo spassosissimo concept “Mm.. Food?!” e il capolavoro realizzato a quattro mani con Madlib sotto l’insegna Madvillain (a quest’ultimo magari dedicheremo un Back In Time a sé stante nei prossimi mesi, trattandosi di uno dei dischi più fuori di testa degli anni zero). Tra i suoi estimatori più illustri figura nientemeno che Damon Albarn, deus ex machina dei Gorillaz e dal quale pare si sia fatto letteralmente inseguire e supplicare per mesi prima di concedere un rap a una non meglio precisata cifra esorbitante. L’astio nei confronti di grossi nomi e grosse etichette non lo abbandonò davvero più. Da tale fruttuoso accordo nasce anche una splendida intesa col produttore Danger Mouse, concretizzatasi in un ennesimo splendido lavoro dall’eloquente titolo “The Mouse & The Mask”, finanziato dall’emittente via cavo Cartoon Network/Adult Swim e non a caso contenente un’infinità di riferimenti ai cartoni animati da essa trasmessi. 

Nel 2009 DOOM licenzia quello che tanto nelle intenzioni quanto nei fatti, si rivelerà il suo ultimo disco solista (ma ora che la terra se l’è preso per sempre, già si scorgono all’orizzonte orde di avvoltoi ansiosi di licenziare compilation di inediti postumi…). “Born Like This” mutua il proprio titolo dall’omonima poesia di Charles Bukowski, altro amore adolescenziale assurto al ruolo di materiale di partenza per le sue produzioni. Criminalmente sottovalutato dagli “addetti ai lavori” (il così detto pubblico generalista ne avrà probabilmente letto oggi il nome per la prima volta), l’album è un vero e proprio fuoco di fila di basi ispirate e rime da urlo, stavolta corredate da una produzione curatissima in grado di far gioire qualunque impianto stereo, dai milioni di watt dei più prestigiosi festival internazionali al mangianastri Phonola preso coi punti della Coop. Da questo momento in avanti le già sparute apparizioni pubbliche andranno approssimandosi allo zero assoluto. Tuttavia a dispetto della fama di individuo sgradevole e scostante, farà qualcosa che quasi nessuno nel suo ambiente si sogna più di fare: investirà sui giovani. Provate a chiedere a Joey Bada$$ con che faccia l’hanno guardato i ragazzi del suo quartiere, quando è andato a dirgli che il supervillain gli aveva concesso alcune produzioni per il suo mixtape d’esordio. 

Questo in soldoni e con molte omissioni a causa dello scarso tempo a disposizione di chi vi sta scrivendo, è il riassunto delle gesta di MF DOOM. Se ancora non avete capito perché si tratta di una perdita irrimediabile, trovatemi un altro rapper diventato (di fatto) nome di punta della musica indipendente in tutto il mondo senza marchette radiofoniche, evitando come la peste qualunque compromesso con le tendenze del mercato e addirittura inserendo rarissimamente ritornelli nei propri pezzi, senza social network e a momenti, non uscendo neanche mai di casa. Come beffa finale di una carriera irripetibile e un’annata che non potremo e non dovre(m)mo dimenticare mai l’artista, già malato da tempo, ha dato disposizione alla moglie di non rendere noto il proprio decesso, avvenuto lo scorso Ottobre, fino all’ultimo giorno dell’anno. Chapeau. 

Giving y’all nothing but the lick like two broads
Got more lyrics than the church got : “Ooh Lord!”s
And he hold the mic and your attention like two swords

Madvillain – Accordion

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati