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Epica – Omega

2021 - Nuclear Blast
symphonic metal

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Tracklist

1. Alpha – Anteludium 
2. Abyss of Time – Countdown to Singularity
3. The Skeleton Key
4. Seal of Solomon
5. Gaia
6. Code of Life
7. Freedom – The Wolves Within
8. Kingdom of Heaven, Part 3 – The Antediluvian Universe
9. Rivers
10. Synergize – Manic Manifest
11. Twilight Reverie – The Hypnagogic State
12. Omega – Sovereign of the Sun Spheres
13. Rivers (Acapella)
14. Abyss O’ Time
15. Omegacoustic
16. El Còdigo Vital


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Finalmente, dopo quasi cinque anni di attesa, nel bel mezzo di una pandemia globale, gli Epica sono tornati (a sorprendere?) con il loro ottavo album, dal titolo “Omega”.

Che cos’ha portato in tavola questa volta la band olandese di Simone Simons? Dodici tracce (sedici se contiamo le versioni acustiche del secondo cd) magistralmente composte, magniloquenti, sì, e (alcune) tremendamente orecchiabili. Penso ai singoli estratti. Abyss Of Time lasciava ben presagire l’andazzo: un buon pezzo, catchy, a tratti riduttivo in confronto ad altri loro capolavori, che però non si discosta nettamente dai canoni tracciati anni or sono dalla band. Freedom – The Wolves Within (che sembra essere uscito direttamente da Curon, serie tv Netflix tutta italiana) mi aveva convinto meno, complice anche un video abbastanza… discutibile, ma che anticipa quello che sarà uno dei temi principali dell’album: l’equilibrio interiore, lo Yin e lo Yang, la lotta tra il bene e il male (citata anche nel testo di The Skeleton Key, uno dei pezzi migliori, che a tratti pare una colonna sonora di un film di Tim Burton). Il tutto è contornato da atmosfere orientaleggianti e da simboli esoterici di diversa derivazione (a partire anche dalla cover, che, personalmente, trovo spettacolare): troviamo in primis il sigillo di Salomone, citato nell’omonima canzone, e lo Sri Yantra (simbolo indiano usato per la meditazione, altro tema caro agli Epica).

In Code Of Life, invece, ci ritroviamo di fronte a dei versi cantati in arabo, un chiaro rimando ai lavori passati della band, come ad esempio il buon vecchio “The Divine Conspirancy”, mentre il sitar accompagna alcuni passaggi qua e là nel disco (come nell’omonima traccia Omega). Passaggi arabeggianti e riferimenti biblici sono presenti anche in Seal Of Solomon, che combina alla perfezione drammaticità e pathos, evidenti nel contrasto tra il growl di Mark e la voce apollinea di Simone.

Per riassumere un po’ gli elementi presenti, si può dire che gli Epica non abbiano abbandonato la direzione maggiormente progressive già intrapresa da qualche anno a questa parte, accantonando gli elementi più gotici che caratterizzavano i loro esordi in favore di atmosfere tipiche del power metal, con diverse influenze. Impossibile non citare, in questo caso, la tanto attesa Kingdom Of Heaven, Part 3, che dovrebbe chiudere il cerchio iniziato con la prima Kingdom Of Heaven dei tempi di “Design Your Universe”: decisamente migliore rispetto alla seconda parte di Quantum Enigma, soprattutto dal punto di vista strumentale, dove si susseguono i classici assoli in tempi dispari (in pieno stile Dream Theater) e momenti più “innovativi”, con l’introduzione di un theremin, con la voce di Simone che aumenta il pathos fino ad un passaggio, verso la fine, in cui emergono in pochi secondi elementi melodic death e black metal. 

Un altro punto a favore è l’utilizzo di un’orchestra più grande e complessa e di ben due cori, giusto per dare quel tocco “epico” e cinematografico che non guasta mai all’interno del panorama symphonic, di cui gli Epica si dimostrano, ancora una volta, i sovrani indiscussi. Poche le ballad proposte, solo una: Rivers, che pur nella sua semplicità rappresenta una piccola chicca all’interno del disco (che perde un po’ la sua magia nella versione a cappella proposta in “Omegacoustic“). 

L’entusiasmo delle prime tracce, tuttavia, va scemando sempre di più, fino ad appiattirsi in prossimità delle ultime canzoni, che non aggiungono niente di nuovo, ma che si lasciano comunque ascoltare con piacere (un po’ sprecata l’ospitata di Vicky Psarakis in Twilight Reverie, in cui si limita a recitare un paio di versi, senza neanche cantare…)

Omega” chiude così un ciclo, una trilogia “metafisica” iniziata nel 2014 con “The Quantum Enigma”, e proseguita nel 2016 con “The Holographic Principle”, e si spera che d’ora in poi gli Epica arrivino ad osare ancora di più. Ci tengo a sottolinearlo: “Omega” si è dimostrato un album dall’elevatissimo spessore, ma è come se avessero voluto andare sul sicuro, puntando molto sulla spettacolarità e sulle performance live, mettendo in evidenza l’utilizzo di melodie più orecchiabili e immediate a differenza dei predecessori (ed è evidente nella scelta dei singoli, tutti molto catchy) e da una struttura più “tradizionale” delle canzoni, rendendole più “digeribili”.

Vi è stata anche una maggior concentrazione del growl e del cantato aggressivo, che con gli anni gli Epica hanno imparato a dosare, rendendolo addirittura essenziale ai fini della trama dei propri testi, mentre Simone sembra aver definitivamente abbandonato lo stile operistico degli esordi, continuando ad abbracciare uno stile pop/rock, molto più versatile. 

Resto convinto che qualche sperimentazione in più si poteva fare. E delle recenti dichiarazioni di Simone in cui esprimeva la volontà di registrare un album jazz col marito (anch’egli musicista) mi avevano fatto ben sperare. Ma insomma, direi che finora ci possiamo benissimo accontentare di quest’altra perla, che verrà di sicuro aggiunta alla collezione di molti appassionati del genere, in attesa di poter assistere a nuove performance e di vedere come si destreggeranno gli Epica con questo nuovo (e sopraffino) materiale tra le mani.

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