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“K-album”, il senso della prospettiva dei 24 Grana

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Due-due nove uno-nove-nove-uno, un giorno come tanti ma non certo per qualcuno. Chi è cresciuto a Napoli – ed è stato adolescente negli anni ’90 – non può non riconoscere queste parole: Curre curre guagliò dei 99 Posse non è una semplice canzone, è un inno generazionale, una serie di versi in nome dei quali si combatte la lotta per i diritti di occupazione di spazi sociali.

Il teatro di quella lotta si trova nella Zona industriale, periferia Est, lontano dalle sfavillanti luci del lungomare o dal rassicurante salotto del centro storico. Officina 99 è un centro sociale autogestito, occupato da un gruppo di studenti e militanti ai quali a inizio maggio di quell’anno era fallito un precedente tentativo di occupazione dell’ex scuola Falco, che si trova al numero 99 di via Emanuele Gianturco. Ci riprovano il 22 settembre: al civico 101 si trova un’officina abbandonata, stavolta il tentativo va a buon fine. Il nome del centro è l’unione tra il fabbricato (Officina) e il numero riferito alla scuola, oggetto dell’occupazione precedente (99).

Da Officina 99 parte la nuova era dell’underground partenopeo. All’interno di quelle sale c’è cinema, teatro, danza, un laboratorio sociale e politico, diviso tra il doposcuola ai bambini del quartiere, l’insegnamento della lingua italiana agli extracomunitari e le vertenze finalizzate al miglioramento dell’area urbana circostante. E poi c’è la musica: le nuove tendenze hanno le mille parole del rap, i suoni elettronici della dub, l’elettronica, il rock indipendente e tanto altro.

All’ombra di Officina 99, a metà decennio muovono i primi passi quattro ragazzi che hanno incrociato i loro destini a Valle Agricola, un paesino di 800 anime in provincia di Caserta. Loro sono Francesco Di Bella (voce e chitarra), Armando Cotugno (basso), Giuseppe Fontanella (chitarra solista) e Renato Minale (batteria). La loro band si chiama 24 Grana, dal nome di una moneta di scarso valore risalente all’epoca aragonese. I quattro propongono un misto di dub, rock ed elettronica, di stampo chiaramente militante.

Dagli esordi di “Loop” (1997) al salto di qualità spiccato con “Metaversus” (1999), con l’andare del tempo la band si sfila progressivamente dal paradigma che vuole l’indie napoletano giocoforza legato ad un certo (ostentato) orientamento politico. Le sonorità vanno ammorbidendosi, la scrittura si fa più intima. E’ il 2001, il nuovo millennio è tale da un po’, e i quattro escono con “K-album”.

È un concept album, nel senso che è costruito tutto intorno alla lettera k, intesa come key, la chiave che apre le porte del futuro. Anche l’artwork fornisce un’informazione importante: la copertina è incolore e per nulla illustrata, a meno di una grande lettera K a tutto campo, che se ruotata in senso orario rappresenta lo schema iniziale per un disegno in prospettiva. Da questo punto di vista, è come se i 24 Grana volessero comunicare di aver gettato le basi per la musica di domani.

Le melodie in dialetto, talvolta riprese dal repertorio storico della canzone napoletana (Lu Cardillo), viaggiano verso la consacrazione nazionale. Le ormai tipiche atmosfere dub-rock in “K-album” si mischiano ad un songwriting che lentamente perde quella matrice di folk profondo e primordiale. Di Bella canta maggiormente in italiano, ma il suo non è un incedere vocale che segue modelli, stili e inclinazioni già visti.

L’inizio – con Pikkola kanzone per k – è già evocativo dello spirito del disco, e gioca su una bilanciata contrapposizione elettroacustica. E’ subito momento di ballad, ce ne sono tre, tutte diverse tra loro. Dai canoni classici di ‘E kose ka spakkano si passa all’atmosfera latineggiante di Kanzone doce; il triangolo si chiude con la malinconica litania di Kanzone su un detenuto politico, uno degli ultimi sussulti militanti insieme a Kanzoneanarkika.

Con Kanzone su Londra si cambia per un attimo registro: la voce stentorea di Di Bella si adagia su sonorità new wave in tipico stile british, mentre il lampo, chiaro ed evidente, di cosa saranno i prossimi 24 Grana si ha con Kanzone del pisello. Il punto più alto del disco però è Kevlar, dove al rumore della pioggia in sottofondo si accompagnano voce, piano e un riuscito mix di riff e synth. La degna chiusura si ha con la strumentale Kanzone del fumo, dove si mescolano tutti gli elementi elettronici e acustici sentiti fino a quel momento: è il saluto dei 24 Grana, un arrivederci intriso di dolcezza autentica.

“K-album” rappresenta la presa di coscienza definitiva della vera fisionomia artistica della band napoletana, quattro ragazzi appartenenti alle posse ma non militanti, almeno non fino in fondo. Quella arcaica prospettiva disegnata in copertina traccia la strada che porta a “Ultrapop”, che uscirà nel 2003.

E a proposito dei 20 anni di “K-album”, ne sono passati ormai 10 da “La stessa barca”, ultimo disco a nome 24 Grana. Mancate guagliù.  

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