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Interviste

Fuggire dalla prigione dello spazio-tempo: intervista ai Lua

I Lua sono un progetto nato nella finestra temporale che abbiamo imparato a chiamare “primo lockdown”. Le unità che lo compongono sono Alessandro Zangani (Do Nascimiento) e Filippo Rieder (batterista dei Fine Before You Came). In occasione del loro EP di debutto intitolato “Werner” (qui la nostra recensione) abbiamo fatto quattro chiacchiere con Filippo.

Durante lo scorso lockdown sono nati un’infinità di progetti musicali, ognuno con una storia. Vi va di raccontarci di più sulla nascita del vostro progetto e sull’incontro tra voi? Insomma, cosa ha generato Lua?

Il primo lockdown è stato un momento decisamente strano. Di colpo ci si è trovati a dover gestire le proprie vite e le innumerevoli relative menate in una condizione nuova, inaspettata e assolutamente costretta nello spazio. Il fatto di avere a portata di mano strumenti per fare musica è sempre stata una benedizione, ancor più in questo inquietante periodo. Per questo credo che chiunque abbia potuto si sia messo a scrivere, a produrre, a tenere la mente occupata con cose belle per lasciare meno spazio alle preoccupazioni. O perlomeno così è stato per me: necessario e indispensabile. Il mondo monome (una minuscola realtà americana che ha creato e sviluppa, insieme a un’altrettanto strepitosa community, un ecosistema di strumenti desktop ed eurorack utilizzando il linguaggio di programmazione lua, appunto. Loro stessi si definiscono: “sound machines for the exploration of time and space”https://monome.org/) ha avuto un ruolo piuttosto importante nella genesi di questo progetto. Io e ale ci eravamo da qualche tempo avvicinati a questo mondo e al relativo modo di approcciare la ricerca e la sperimentazione musicale, e ci siamo conosciuti proprio in una chattina di un gruppo di utenti monome. Abbiamo cominciato a scriverci per consigli e dritte generiche, scoprendo a un certo punto che io suonavo nei FBYC e lui nei Do Nascimiento, per finire a confidarci di condividere la stessa voglia di esplorare sonorità più eteree e rarefatte, di sperimentare territori diversi in un percorso naturale in cui monome e indirettamente il linguaggio lua avevano fatto da catalizzatori. Io avevo alcune bozze di idee, gliele ho mandate e abbiamo iniziato a lavorarci regolarmente. Il coinvolgimento di Giuditta e Laura  è stato successivo ma assolutamente fondamentale. Senza di loro non saremmo masi riusciti ad ottenere un risultato nemmeno lontanamente simile a quello che avevamo in testa. invece alla fine ce l’abbiamo fatta e ne siamo davvero super felici. 

Filippo Rieder

Le vostre esperienze parallele o precedenti suonano in maniera completamente diversa. Questo mi fa pensare che questo percorso ambient sia una sorta di tassello mancante, un suono che mancava. Cosa portate dentro Lua del vostro bagaglio musicale?

Beh direi che probabilmente ci portiamo dietro tutto sai. Tutto quello che abbiamo fatto e facciamo c’è, custodito come un piccolo tesoretto, e ce lo portiamo sempre dietro. Semplicemente con il passare del tempo è aumentata sempre più la curiosità e la voglia di sperimentare. gli ascolti e le ispirazioni si ampliano e cambia il linguaggio con cui ti misuri nel provare a dire qualcosa, anche se senza la presenza di parole. è sicuramente un tassello che mancava e di cui inconsapevolmente avevamo bisogno. sarebbe bellissimo riuscire a non fermarsi mai nel ricercare sempre nuovi stimoli, aggiungendo tasselli al quadro generale confidando nel fatto che potrebbe non finire mai.

Leggendo la storia della nascita del linguaggio di programmazione Lua non ho potuto fare a meno di notare che è nato in una situazione di controllo e costrizione da parte del governo brasiliano. Analogamente, per contingenze totalmente diverse ovviamente, anche Lua è nato in momento di emergenza. Vi ritrovate in questo, azzardato direi, parallelismo?

Come dici tu, il progetto è nato in un momento di emergenza e ci ha aiutato molto ad attraversarlo. Analogamente al linguaggio di programmazione, anche il “nostro” lua è nato sotto una sorta di embargo sociale/emotivo. Nella claustrofobia del periodo, suonare è servito a sfogare ansie e a svuotare la testa quasi tutti i giorni. Ho approfittato per approfondire, studiare un po’, sperimentare molto lasciandomi più libero quando buttavo giù delle idee. Nessuna sovrastruttura, solo flusso di coscienza. ed è stato bellissimo e decisamente terapeutico.  

Alessandro Zangani

Una domanda mi ronza in testa alla quale non sono riuscita a darmi risposta. Perché “Werner”?

Werner è il nome del mio bisnonno paterno che morì il giorno in cui sono nato io. I miei mi raccontarono che avrebbe avuto tantissima voglia di conoscermi, ma che disse anche – con il sorriso sulle labbra – che era giusto liberare spazio nella testa di mia madre per il mio arrivo (mia madre è sempre stata quella che si prende cura di tutti indistintamente e che si è presa cura anche di lui nel decorso della sua malattia). Questa cosa mi è rimasta impressa e mi ha fatto crescere con la convinzione che la capienza delle nostre teste è assolutamente esauribile. Quindi ecco, in un certo senso il disco parla di questo spazio assolutamente non fantascientifico, all’interno delle nostre teste, in cui si spingono lontano alcuni pensieri più cupi per lasciare spazio ad altri più congeniali, o l’esatto opposto a volte. quello spazio che si crea all’improvviso nel vuoto, quando fissi un punto e ti imbamboli a pensare, che tu voglia o non voglia.

Giuditta Gasparini (foto di Piero Rolla)

I titoli dei brani sono bellissimi, non nascondo che mi sono innamorata di Dello scomparire e altre sconfitte ancor prima di ascoltare il pezzo, solo leggendo il titolo. Da dove nascono e perché? Nasce prima il titolo, come una specie di linea guida da seguire nella composizione del brano, o viene assegnato a posteriori, a completamento di quanto composto?

Che bello che ti siano piaciuti! I titoli sono arrivati per ultimi quando i pezzi erano finiti. È stata una scelta, un’ulteriore libertà che ci siamo concessi. I pezzi mi rimandano a cose che sono successe tanto tempo fa, l’ordine di ascolto e di sviluppo di questi ricordi è oggettivo in questo senso ed è quasi cronologico. Riguardano da vicino un periodo del mio passato invece abbastanza remoto e il percorso fatto nell’attraversarlo, ma c’è un tentativo, probabilmente goffo e sicuramente timido, di rendere il tutto soggettivo facendo muovere attraverso un percorso totalmente personale chiunque ascolti. immagini diverse con una stessa ipotetica colonna sonora. Per questo i titoli cercano di evocare delle sensazioni più che momenti precisi e definiti in senso letterale.

I vostri pezzi mi portano su un piano nel quale la dimensione temporale non c’è, ma esiste una forte connotazione spaziale. Come vi siete confrontati con la sospensione temporale, nonché sociale, che avete vissuto al momento della nascita del progetto?

Sono molto felice che i pezzi ti portino in questo tipo di dimensione. Lo spazio è un elemento chiave, in stretta correlazione con il tempo. La mancanza di libertà nello spazio fisico non implica la stessa restrizione a livello di pensiero. Questo progetto e questi pezzi (e auspicabilmente i prossimi a venire) vorrebbero umilmente perseguire questo obiettivo: una dimensione in cui il tempo e lo spazio un po’ si mischiano lasciando libertà di movimento al loro interno anche senza soluzione di continuità, in maniera disordinata. un po’ come ci sembrano funzionare a volte i nostri pensieri.

Laura Bianchi

Il vostro lavoro è curato nei minimi dettagli, basta solo dare uno sguardo alla bellissima musicassetta rosa confezionata a mano per rendersene conto. Nel vostro processo creativo e poi produttivo, esiste anche solo un dettaglio che decidete di lasciare libero, quasi affidato all’imprevedibilità e alla leggerezza dell’imprevisto? E se esiste, come lo gestite?

Siamo assolutamente convinti che ogni minimo dettaglio del processo abbia una fondamentale importanza, che sia ideologica, concettuale o pratica. Diciamo piuttosto che la fase in cui ci piace abbandonarci più al caso è quella “compositiva” e probabilmente anche il live conterrà una buona parte di improvvisazione. Ci siamo tenuti (e continueremo a tenerci) più libertà nell’accettare la sorpresa di piacevoli imprevisti (che spesso si trasformano in peculiarità) là dove tutto ciò può avere un ruolo attivo nel raggiungimento del risultato. 

Grazie per il tempo dedicato a ImpattoSonoro!

Ma di che, grazie a voi davvero. È stato un piacere!

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