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L'editoria(m)ale

Ci sono artisti, dissidenti e artisti dissidenti. E poi c’è Salmo.

Editoria(m)ale coraggio di suonare

Quando sento qualcuno parlare di sé autodefinendosi “artista” provo un sentimento immediato di antipatia misto a compassione

Samuele Bersani

Nel momento in cui questo articolo andrà online la storia sarà circolata in lungo e in largo: a metà agosto Salmo ha organizzato un concerto per dare solidarietà alla città di Olbia, che come tanti altri luoghi in questa estate infernale è stata colpita dagli incendi. Detta così pare un’iniziativa lodevole, eccezion fatta per la modalità.

Il rapper sardo sceglie di fare tutto senza alcun tipo di ufficialità e ignorando totalmente ciò che è accaduto negli ultimi due anni. Accesso libero, niente distanziamento né mascherine. Ora, prima che cominciate a scaldare i motori per riempire i commenti di contumelie e “servi della dittatura”, cerchiamo di capire le ragioni di tutto e tutti. Partiamo dal suo discorso:

Io stamattina non sapevo che fare e ho scritto una lettera allo Stato italiano: Caro signor Stato, vorrei ricordarle che quasi tutti i settori lavorativi in Italia sono ripartiti. L’unico settore dimenticato da Dio e dallo Stato è quello dell’arte e dello spettacolo. Non possiamo fare i concerti. Ci hanno detto di fare i live con poche persone, tutti distanziati e seduti. Signor Stato noi vogliamo alzarci e saltare. La musica, la cultura e l’arte sono importanti quanto lo sport. Caro signor Stato, la musica, la cultura e l’arte in Italia sono importanti tanto quanto lo sport, ma nel resto del mondo fanno concerti con 100mila persone e noi no. Sono tutti vaccinati, mi dirai tu, e c’hai ragione. Ma come facciamo a far capire che l’unico modo per tornare alla normalità è vaccinarsi? […] Signor Stato, pare che in questo Paese l’unico modo per tornare alla normalità sia festeggiare la nazionale di calcio, giusto? Allora ok, noi ci siamo, facciamoci questa fottutissima partita da 90 minuti! […] Non puoi definirti artista se non infrangi le regole!

Tocca sezionarlo, per arrivare al quid.

Dove?: Dal palco, montato pur senza ufficializzazione dell’evento, di un concerto senza alcun tipo di controllo. Salmo parla, con tutte le probabilità del caso, dei grandi eventi come il Lollapalooza. I video del live dei Limp Bizkit hanno fatto il giro del mondo, ma giusto per la nuova mise di Fred Durst. Sotto al palco si sono assiepate un sacco di persone, coinvolte in un pogo forsennato, quindi prive di alcun tipo di precauzione, cosa che ha portato la band a cancellare l’intero tour estivo proprio per evitare problemi di salute a band, crew e fan. Dando il beneficio del dubbio a Wes Borland (che pare si sia sentito male, ma nessuna traccia di Covid) e soci, pure una band di questa caratura si è sentita in dovere di salvaguardare il proprio entourage e il pubblico (lo stesso dicasi per Nine Inch Nails e Deftones), mentre Salmo non solo se n’è ampiamente sbattuto il cazzo, ma si è anche trincerato dietro la scusa di volersi battere contro le regole imposte dallo stato in materia di concerti. Un vero artista, no? D’altronde è lui stesso a definirsi tale e proprio per questa sua furbata.

Come? Questa è una domanda molto più spinosa, e la procura di Tempio Pausania ha recentemente aperto un’inchiesta per far luce sull’accaduto. Salmo, in un vero slancio di follia ed ennesima paraculaggine assoluta e mentre continua il suo alterco via social con Fedez (che si è rivelato essere, in buona fede o meno, più assennato di lui, il che è alquanto spaventoso), ammette, ovviamente sempre via social, non solo di aver avuto via libera in spregio alle regole ma anche di aver organizzato tutto sotto falso nome, ovvero “DJ Triplo”. Così dicendo, forse pensava di “scagionare” il Comune di Olbia, il quale, non avendo idea di chi fosse questo fantomatico dj, non poteva aspettarsi una tale affluenza. Ok, va bene, facciamo finta di crederci.

Ora, pure i sassi sanno che, anche in situazioni normali, per mettere in piedi un live con tanto di palco va pagato un plateatico e si devono richiedere tutta una serie di permessi che riguardano anche le più basilari norme di sicurezza. Di questi tempi le regole in tal senso sono state inasprite, aggiungendo tutti quegli obblighi e divieti di cui siamo già a conoscenza. Se ve li foste persi:

Gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi anche all’aperto, sono svolti esclusivamente con posti a sedere preassegnati e a condizione che sia assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per gli spettatori che non siano abitualmente conviventi, sia per il personale, e l’accesso è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi Covid-19

Senza poi dimenticare il fatto che si debbano conteggiare le persone presenti, sempre per le summenzionate regole. Dunque, risulta difficile credere che un’intera amministrazione, con tanto di forze dell’ordine al codazzo che, come molti di noi sanno, non sono mai state troppo restie nel comparire a metà di un concerto e mandare tutto a puttane per molto meno, non si sia accorta che DJ Triplo non era poi chi diceva di essere (ma su questo legittimo dubbio faranno luce gli inquirenti nelle sedi preposte, si spera, e se ci fosse malafede, che la giustizia faccia il suo corso).

Anni fa I NOSTRI RAGAZZI, come li suole chiamare qualcuno, irrompevano a un concerto di Jojo Mayer a Firenze ordinandone l’interruzione immediata, il tutto per un non ben comprensibile “disturbo della pubblica quiete” (eravamo in un locale con tutti i crismi dell’insonorizzazione e i Nerve, porco cazzo, non sono i Cannibal Corpse). Il batterista elvetico ammise che “non gli era mai capitato in tutta la carriera” e noi astanti viene da pensare che a Olbia la tolleranza della popolazione sia molto più alta in fatto di pubblica quiete, inversamente proporzionale all’attenzione dei controllori, che a quanto pare erano intenti, che so, a guardare le partite di Coppa Italia. Questo dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che basta “essere qualcuno” per potersi permettere certi comportamenti, e che se la stessa cosa fosse accaduta a un circolo Arci o una giovane band locale, quindi con una affluenza di pubblico considerevolmente inferiore, sarebbero volati dei gran calci nel culo e una conseguente pioggia di multe.

Perché? Qui la storia si fa più complessa e la strada si biforca. Facciamo un salto indietro. Sir John Major nel 1994 fu Primo Ministro britannico e, da buon conservatore, varò una legge pervicace, ignorante e violenta a discapito delle nuove generazioni e, tra le altre cose, delle aggregazioni musicali chiamata “Criminal Justice And Public Order Act 1994”. Fu creata ad hoc per annientare la cultura dei rave party che allora dilagava, non solo nel Regno Unito, e che veniva vista dal suo partito e dai suoi elettori come una piaga virulenta pronta a distruggere il mondo pulito di una delle ex-colonie più mostruose della storia dell’umanità, nonché terra natale di Margaret Tatcher, lady di ferro e campionessa di ingiustizia e disuguaglianze. La legge, in sostanza, dava alla polizia carta bianca per reprimere ogni atto di ribellione alla stessa nel sangue, cosa puntualmente accaduta. I giovani inglesi si unirono in una protesta non violenta culminata nell’Anti Criminal Justice Bill, un corteo/rave a cielo aperto, volto a smascherare le menzogne del Primo Ministro e di tutti i suoi sgherri, a costo di prenderle di santa ragione. Non c’era una pandemia globale, e chi metteva in pericolo la propria salute lo faceva dovendo rendere conto solo e solamente a se stesso. Niente a che spartire con quanto abbiamo visto a Viterbo, nell’ormai famigerato rave fuori controllo, ovviamente, nel caso vi steste già indignando visto che stiamo parlando di questi eventi di base illegali.

Questo a Salmo dev’essere sfuggito, nel suo afflato di ribellione insensata. A dire dell’autore di “Death USB”:

Ora sarò sincero con voi, ragazzi: sapevo benissimo di andare incontro ad una marea di merda ma non me ne fregava un ca… Ora che io abbia fatto una cazzata è discutibile, perché il live è stato fatto sotto una ruota panoramica, a dieci metri dal corso, dove, visto che è una zona turistica, ci saranno minimo diecimila persone al giorno in giro, tutte ammassate, senza mascherina, anche perché l’obbligo della mascherina in pubblico non c’è più. Se io fossi andato al corso e mi fossi affacciato a una finestra sarebbe stato uguale. Quindi quali sono le regole che ho infranto? Quali sarebbero le regole previste per un concerto all’aperto senza recinzione, senza ingressi, senza biglietti, accessibile a tutti, accanto al centro, in una zona turistica?

Dunque, secondo lui, anzitutto nessuna regola è stata infranta e questo dimostra quanto sia pericoloso mentire scientemente o almeno ignorare o ancora, nella peggiore delle ipotesi, quanti danni possa fare l’analfabetismo funzionale. Questo modo di deresponsabilizzarsi ricorda molto da vicino quello utilizzato da tanti destristi di lungo corso, a partire da Berlusconi per arrivare ai nostri Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Ha più volte, poi, puntato il dito contro i festeggiamenti per la vittoria dell’Italia all’Europeo, e non potrebbe trovarmi più d’accordo di così. È stato tutto gestito male, in molte città si sono addirittura montati schermi giganti per visionare la finale e il pullman della Nazionale ha sfilato pur non essendo autorizzato, mettendo a rischio la salute delle persone.

Cosa voleva dimostrare Salmo? Che questo atteggiamento è sbagliato e che non viene condannato in quanto legato al mondo dello sport, nello specifico del calcio. Vero. Anche questo atto ha alzato un bel vespaio e non è passato inosservato alle autorità. L’educazione civica delle persone, ahinoi, è distante miglia e miglia e lo si è in qualche modo perdonato. Per opporsi a queste modalità il Nostro ha deciso bene di comportarsi esattamente come loro, con l’aggravante del “falso nome”, dando l’idea che per essere “contro” si debba copiarne il vergognoso modus operandi. Sarebbe stato invece molto più sensato mostrare alla gente quanto noi operanti nel mondo della musica e dello spettacolo non si sia sciocchi e incuranti di qualcosa che va avanti da ben due anni. Ammettere invece di essere stato un “ipocrita e uno stronzo”, salvo poi aggiungere il famigerato “però” tanto in auge negli ambienti leghisti seguito da un “mi sono battuto per le mie idee, perché le regole non vanno bene”, ha di fatto dato luogo ad un paradosso bello e buono. In pratica è come andare ad una manifestazione contro la guerra armati fino ai denti mentre si spara per aria. Anzi, ad altezza uomo.

Qui arriviamo, seppur in modo contorto, alla verità sepolta sotto ad un marasma di merda: è fuor di dubbio che i regolamenti spesso si scontrino con ciò che vediamo ogni giorno in giro, o sulle spiagge o altrove, ma siamo sicuri che per rendere noto il pessimo stato in cui riversa la cultura non si dovesse percorrere una strada così malsana. Salmo dice qualcosa di giusto, ossia che il mondo della musica è stato ignorato ad oltranza, che è necessaria una riforma e che le istituzioni si sveglino dal loro torpore e smettano di mummificare e mortificare un mondo che non è più quello in cui sono nate e cresciute. Ma tutto questo non è una novità. Il problema semmai è che ci è voluta una pandemia che fermasse il mondo per far sì che artisti e tutto il settore si dessero una mossa, unendosi e protestando formalmente per l’ignoranza statale nei loro, anzi, nei nostri confronti (Bauli in piazza ha smosso le acque, anche noi nel nostro piccolo abbiamo dato voce a piccole realtà in difficoltà, e così molti altri esponenti del settore). Anche in questo caso sarebbe necessario un cambio di rotta che passi dall’educazione delle persone e che, solo in seguito, si battesse sul terreno istituzionale e legislativo.

Basta nero e sommerso, basta “favori agli amici”, basta tentativi di aggirare le, evidentemente inique, leggi in vigore, basta pubblico che si lamenta degli ingressi a pagamento – anche quando il pagamento è di una manciata di euro – o del dover avere una tessera Arci. Serve dimostrare alle tante odiate istituzioni che siamo migliori di quelli che attacchiamo, di coloro che riteniamo non essere “al nostro stesso livello”, legale e morale. Perché se ci comportiamo al medesimo modo non ha nemmeno senso scendere in piazza a sbraitare. Di certo non potremo farlo organizzando un concerto sotto falso nome solo perché “ci fa tristezza” suonare davanti ad un pubblico di gente seduta e composta.

I Sepultura dicevano “We who are not as others” (Salmo, che diceva di essere un metallaro, il pezzo se lo ricorda?). Dimostriamolo una volta per tutte, senza tirare in ballo l’arte e la disobbedienza tanto al chilo per un po’ di visibilità. Certi personaggi non ne hanno comunque bisogno.

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