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The Grasshopper Lies Heavy – A Cult That Worships A God Of Death

2021 - Learning Curve Records
sludge / post-hc / noise

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Tracklist

1. Untitled
2. The Act of Buying Grocieres
3. Charging Bull
4. Tennessee
5. The Pastor’s Pockets
6. A Cult That Worships A God Of Death, parts I-IV
7. Bullet Curtain
8. Sound Check (in japanese)


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I The Grasshopper Lies Heavy sono una band in giro ormai da più di dieci anni ma praticamente sconosciuta dalle nostre parti e probabilmente in tutta Europa. È un peccato, perché il trio di San Antonio – Texas è decisamente interessante, non solo per la proposta musicale che spazia tra più generi, ma anche per il nome che hanno scelto, che presumibilmente  riprende il romanzo (“The Grasshopper Lies Heavy”) all’interno del romanzo di Philip K. Dick “The Man in High Castle” (in italiano “La Svastica nel Sole”) nel quale viene rappresentato un universo alternativo dominato principalmente dalla Germania nazista e dall’Impero giapponese a seguito di un’ipotetica vittoria dell’Asse nella seconda guerra mondiale, descrivendo quindi l’opposto di quello che successe nella realtà dei fatti e della storia.

Il nuovo album “A Cult That Worships A God Of Death“,  prodotto da una delle migliori etichette underground di nicchia quale la Learning Curve Records, è stato registrato durante il lockdown del 2020 e da quanto dice James Woodard, chitarrista oltre che voce del gruppo texano, l’intenzione era di catturare il caos e le tribolazioni di un anno andato male, molto male. Dopo un iniziale intro malato, tutto drone e noise, che esprime disturbo mentale o disagio esistenziale, si parte in quarta con un poker di pezzi sludge incazzati che sono dei veri pugni in faccia. The Act of Buying Groceries, Charging Bull, Tennessee e The Pastor’s Pockets,  per un attimo mi hanno fatto venire il dubbio che stessi ascoltando i Melvins di metà anni 90, intendo quelli della fantastica trilogia “Houdini“, “Stoner Witch” e “Stag“.

Nei primi cinque pezzi la ricetta è composta da brani non troppo lunghi con grosse chitarre incisive e che fischiano (in generale su tutto il disco), voce perennemente incazzata, un pizzico di doom, improvvisi cambi di ritmo con batteria pachidermica e basso perennemente distorto. Tuttavia, con la traccia numero sei, interamente strumentale così come i due restanti brani, la solfa cambia drasticamente, soprattutto da quasi metà brano, come se scattasse un click. Il cambiamento non si evince solo per la totale assenza di voce, ma soprattutto perché l’influenza maggiore è quella di gente come Isis, Pelican o anche i Russian Circles, musica di sicuro impatto ma anche capace di diventare introspettiva ed emozionale con momenti sorprendentemente calmi, a tratti addirittura melodici, e caratterizzata da un utilizzo più preponderante di delay e riverberi, improvvise esplosioni o crescendo musicali. In definitiva, da qui si seguono le coordinate dettate dal post-hc o dal post-metal, anche se effettivamente fino ad una decina di anni fa, questo tipo di sound veniva anche definito sludge ambientale, il che ricondurrebbe comunque parzialmente alla prima parte del disco, più aggressiva e meno ragionata.

Chi conosceva già la band in precedenza del resto sa bene che non è un gruppo fossilizzato esclusivamente in un solo genere, ma è anzi eclettico ed in continua e progressiva evoluzione, soprattutto arricchito da un ampio spettro di influenze, capace perfino di dare alle stampe un disco drone ambient, ovvero “Cavern” (2017). I The Grasshopper Lies Heavy sono quindi un power trio irrequieto che, magari percorrendo strade diverse, da questo punto di vista mi ricorda con le dovute proporzioni l’approccio e la libertà di espressione dei mitici Boris.

A Cult That Worships A God Of Death” è a conti fatti un buonissimo disco, con ottimi brani che, anche se non brillano sicuramente per originalità, lasciano comunque il segno per quanto riguarda la buona fattura e la varietà della proposta. Se i nostri riusciranno a focalizzare meglio le idee ed incanalarle nella loro musica in maniera più ragionata sono convinto che sentiremo parlare di loro in futuro anche qui da noi, dall’altra parte dell’oceano.

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