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“The Psychedelic Sounds Of” dei 13th Floors Elevator, acidi ed affini

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C’era questo tipo, Tommy  Hall, paroliere, musicista e sedicente filosofo che s’era inventato il jug elettrico, un bottiglione di ceramica (o vetro) con della marijuana in fondo e un microfono all’imboccatura: soffiandoci dentro, ne veniva fuori un rumore riverberato, straniante, paranoico: era il suono che stava alla base del seminale “The Psychedelic Sounds Of “, il disco che nel 1966 consegnò alla storia i texani 13th Floor Elevators come i precursori di tutto quello che, di lì in poi, avremmo chiamato acid-rock.

A completare la squadra di fattoni c’erano il grande chitarrista fuzz Stacy Sutherland, John Ike Walton alla batteria, Benny Thurman al basso e, sopratutto, il cantante Roky Erickson, uno che in quanto ad acidi e affini ne sapeva una in più di Jim Morrison. “The Psychedelic Sounds Of ” ne metteva in vetrina il talento visionario e contorto a cominciare dalla sbalorditiva You’re Gonna Miss Me, una canzone di rimpianto e desiderio, l’anthem per eccellenza del rock’n’roll psichedelico, poco più di due minuti degenerati e selvaggi con Erickson che cantava come se qualcuno fosse lì lì per strappargli la lingua. Nessuno può dire di conoscere la musica rock se non conosce questa canzone.

Photo: William Warner

The Psychedelic Sounds Of ” spremeva tutta la follia della band, esplorava l’ignoto e finì nella classifica di Billboard concedendo quella  visibilità che i ragazzi sfruttarono soprattutto per reclamizzare la rivoluzione sensoriale che l’assunzione di LSD prometteva, con allegata possibilità di ridefinizione della propria identità e tutto quanto ne sarebbe di conseguenza derivato. Erickson, in particolare, si calava acidi come fossero caramelle, al punto da dover essere ricoverato in un ospedale psichiatrico per la troppa nebbia nel cervello, finendo con l’uscirne segnato per i trattamenti a base di elettroshock ai quali venne sottoposto.

Se You’re Gonna Miss Me arrivava dritta in faccia con cattiveria luciferina, con Splash 1 i 13th Floor Elevators uscivano dal garage e svoltavano verso Laurel Canyon con un folk-rock oppiaceo e contemplativo che mostrava l’altro lato della stessa medaglia. In mezzo ai due estremi, c’era un rhythm and blues trasfigurato e drogato, e un pezzo come l’allucinata Fire Engine faceva sembrare i Rolling Stones degli scolaretti al ballo di fine anno .La band prendeva il nome dal tredicesimo piano della piramide della conoscenza, dove emblematicamente è posto il Terzo Occhio, quello della provvidenza, quello che tutto vede e consente di raggiungere l’illuminazione spirituale: chiaramente, a nessuno sfuggirono quelle che non sembravano semplici coincidenze, a cominciare dal fatto che in parte degli States i grattacieli non hanno il tredicesimo piano per questioni scaramantiche o che nell’alfabeto la tredicesima lettera è la M di marijuana.

The Psychedelic Sounds Of ” manteneva le promesse della ragione sociale di Erickson e dei suoi complici di stregonerie, e le canzoni che conteneva minacciavano con l’acido lisergico le sovrastrutture delle convenzioni sociali: paradigmatici, in questo senso, i cinque minuti allucinati di Roller Coaster, concettualmente una Break On Through prima dei Doors, così come Thru The Rhythm era in anticipo sui comizi rock dei Jefferson Airplane, mentre Kingdom of Heaven era un delirio blues di stampo religioso. La brocca elettrica di Tommy Hall accompagnava il viaggio dei 13th Floor Elevators come un ombra cattiva, Stacy Sutherland era il principe lisergico del distorsore e il primal scream di Roky Erickson aveva dentro demoni e vampiri.

The Psychedelic Sounds Of ” preannunciava la grande fioritura del rock psichedelico e con essa la lusinga di indicibili esperienze creative, mistiche ed artistiche. Roky Erickson restò in sella al gruppo per altri due dischi, il primo dei quali, “Easter Everywhere“, era un mezzo capolavoro sulla scia di “The Psychedelic Sounds Of “, anche se più incentrato sulle ballate a cominciare dalla rilettura di It’s All Over Now, Baby Blue di Bob Dylan. Poi, nel 1969, venne pizzicato ad Austin con qualche grammo di marijuana, e piuttosto che finire in prigione si diede pazzo. Di qui in avanti un guaio dietro l’altro, tra fughe dall’ospedale e detenzione in manicomio, attacchi di schizofrenia, stati paranoidi e pesanti trattamenti con gli antipsicotici. A un certo punto si convinse di essere un marziano, e nessuno poté mai escludere che non lo fosse davvero.

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