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Jónsi – Obsidian

2021 - Krunk
ambient

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Tracklist

1. Vikur
2. Ambrox
3. Kvika
4. Pyralone
5. Obsidian
6. Cypriol
7. Eyja
8. Öskufall
9. Vetiverol
10. Hedione


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Di come Jónsi e Sigur Rós pian piano siano galassie parallele. Di come questa distanza sia colmata dall’espansione di Jónsi. Di come non si senta, quindi, davvero la mancanza di un progetto sfilacciato dal tempo, dagli accadimenti, dall’inerzia, seppur ancora vivo, o così parrebbe. Di come non importi, perché già “Shiver” ha dimostrato l’indipendenza di Birgisson e la sua capacità di traslare un suono e tutte le sue conseguenze senza clonarlo, senza dipendenze.

Di come “Shiver” sia un album che non va dimenticato, nella sua bellezza pop, ma, e qui si arrivi allo snodo, di come “Obsidian” si trovi a nascere in un mondo a sua volta parallelo. Geometrie continue, intrecci solo ipotizzati, realtà a sé stanti. Azione mediante sottrazione, il risultato è minimalismo al massimo delle proprie capacità. “Obsidian” è, prima di un disco e assieme ad esso, un’installazione artistica, un’esibizione presentata a New York, Tanya Bonakdar Gallery, ispirata dall’eruzione vulcanica di Fagradalsfjall, che prende vita in un luogo distante migliaia di chilometri dall’Islanda e diametralmente opposto. Spesso, opere di questo tipo, scorporate dal proprio risentono della mancanza del lato visuale, e anche in questo caso più si avanza nell’ascolto più l’occhio chiede il suo tributo. Eppure l’autonomia della musica, in qualche modo, prende il sopravvento.

Vive da solo, “Obsidian”, e come l’ossidiana è liscio e nero, lucente e allo stesso tempo trattiene la luminosità, che viene tutta sprigionata dalla voce di Jónsi, capace di sorvolare le distese ambient ordite assieme a Paul Corley, e illuminarne la superficie oscura e oblunga, in un lento incedere che, di tanto in tanto, recupera pulsazioni, ora sottocutanee (Cypriol), ora telluriche e danzanti (Pyralone) in chiara demolizione cibernetica dello spazio. La terra si contrae e nelle sue profondità sono le macchine ad ergersi spaventose, interrotte da elegie trascendentali (Vikur), intagli folkatronici che esplodono in magniloquenza lavica (Eyja) e appoggi consolatori che attenuano l’increspatura dello spazio (Vetiverol), che quando si estende sa essere covo di solitudine (Hedione).

Di come “Obsidian” non rimarca la sorpresa di “Shiver”, né eguagli quelle vette di bellezza assoluta, ma di come colmi spazio e tempo in maniera eccellente. D’altronde Jónsi non è certo tipo da ripetersi e questo è un oggetto alieno e va preso per quel che è, nel bene ma anche nel male.

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