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Connan Mockasin – Jassbusters Two

2021 - Mexican Summer
pop / jazz / lo-fi

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Tracklist

1. Jass Two
2. K is for Klassical
3. Flipping Poles
4. In Tune
5. Maori Honey
6. She’s My Lady
7. Shaved Buckley


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Connan Tant Hosford, detto Mockasin, prosegue il progetto “Jassbusters” con un secondo capitolo, come ci avesse preso gusto, come fosse avvenuto il passaggio da fiction ad autofiction, da alter-ego a ego. Perché “Jassbusters” è il nome della band di insegnanti di musica del melodramma (o dramma dell’assurdo, che le cose non sono mai quelle che sembrano) Bostyn ‘n Dobsyn dello stesso Mockasin, diretto e sceneggiato nel giro di un mese in un Hair Saloon dimesso di Hollywood. Dobsyn è il leader della band, ed è interpretato, ovviamente, da Connan, con una splendida, gigante, patinata, parrucca bionda. 

L’album “Jassbusters” veniva suonato dal vivo durante lo spettacolo, ed è tutto un blues sessuale e sensuale, dolcissimo, una nuvola di zucchero filato e caramello. E così anche questo nuovo “Jassbusters Two” si basa sul concetto di improvvisazione del precedente capitolo, con testi sviluppati e decantati durante le registrazioni in modo del tutto naturale, seguendo come unica stella polare la morbidezza, il glitter, quella luccicanza volutamente affettata e composita. Una specie di archetipo del retrò, di tutti quegli elementi che dovrebbero dipingere un Occidente anni Ottanta da club sfavillante.

Da sempre avvezzo agli effetti di straniamento, da quello più psichico e da incubo come in Forever Dolphin Love, allo straniamento kitch di quest’ultimo dittico, Mockasin ci vuole togliere la terra sotto i piedi, stavolta lo fa cullandoci. La voce è quella in falsetto, senza distorsioni, i ritmi lentissimi, dove la chitarra abbraccia tutto, sembra quasi un album di sola chitarra, limpida, a far scomparire tutto il resto. Solo qualche elemento qua e là discordante, una delicatezza che per qualche secondo trema e sprofonda, per poi tornare al consueto languore, come nell’intro di Flipping Poles: dieci secondi di tensione, delle voci confuse, e poi un dolce blues, quasi a calmare le acque, a tranquillizzarci tutti.

Rischia Mockasin, rischia di essere stomachevole. Rischio già presente nel primo capitolo, ma forse ben limitato nella poco più di mezz’ora di album; qui forse ci si aspettava un clinamen, una qualche stortura, una direzione diversa, che non c’è. Forse dovremmo considerare il dittico come una cosa circoscritta al progetto Bostyn ‘n Dobsyn e quindi inscindibile dalla visione del film. Non eravamo pronti ad un secondo tempo così simile al primo, l’hype del primo movimento, dopo tre anni, è sceso; al suo posto c’è tutta la godibilità dell’indiscussa genialità di Mockasin, del suo eclettismo, sì, ma col rischio di confondere l’uno col due (con netto vantaggio dell’uno sul due).

Un album che si lascia ascoltare senza intoppi, quando invece una qualche vertigine, a volte, non dispiace.

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