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Converge – Bloodmoon: I

2021 - Epitaph Records
post core / apocalyptic folk

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Tracklist

1. Blood Moon
2. Viscera Of Men
3. Coil
4. Flower Moon
5. Tongues Playing Dead
6. Lord Of Liars
7. Failure Forever
8. Scorpion’s Sting
9. Daimon
10. Crimson Stone
11. Blood Dawn


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Quel che era già chiaro dall’uscita dei singoli Blood Moon e Coil era che ci saremmo trovati davanti a “e ora qualcosa di completamente diverso”. Proprio come nel film di cui utilizzo il titolo la somma delle parti di “Bloodmoon: I” che sembrano non doversi legare per forza di cose sono l’apogeo di una creatura assemblata con parti di corpi che già singolarmente hanno cambiato il volto della violenza in musica.

Il rischio “scollamento”, in progetti come quello messo in piedi da Converge, Chelsea Wolfe, Ben Chisholm e Stephen Brodsky, ovvero un collettivo che ha condiviso il cammino del cambiamento più volte di chiunque altro ma in direzioni bene o male sempre differenti, era dietro l’angolo, e qualcuno ce lo sentirà pure, solo che forzosamente. La luna di sangue è unita e si staglia in cielo, spaventosa come non mai.

L’alone oscuro che aleggia per tutta la durata del disco è la parte che più delizia, stuzzicando quel senso di perdita e terrore che fa staccare i piedi da terra e ben poco è ciò che non funziona, o meglio, che comunque riesce a non mandare in mille pezzi tutto quanto, in un coro bilanciato e assordante. I momenti di sospensione, che nei dischi classici dei Converge erano nubi di zolfo che si dissipavano presto bruciate dal calore “chaotic” tanto caro ai loro fan, qui sono un contraltare, sono peso sulle spalle delle melodie di ghiaccio che qui soffiano come vento d’oltretomba è tanto e si poggia tutto sul cuore.

Interplay è la prima parola che mi sovviene, sentendo in ogni dove l’apporto di Chisholm che divampa in folate da brivido su brani come Scorpion’s Sting, subito sostenuto dal resto dell’ensemble che si “intromette” mutandone le conclusioni, che mai sono scontate, trasformandosi di continuo senza sacrificarne la continuità. Le voci come specchi che riflettono ogni lato del mostro, con Bannon che include la lezione impartita (e imparata) con Wear Your Wounds, finalmente fuori dal maelstrom elettrico, Wolfe tornata signora e padrona della tenebra nascosta nel cuore di chiunque e Brodsky in bilico tra voli icariani e piegamenti grunge si fanno uni e trini, come déi atei, per assurdo, in Daimon lasciano una cicatrice profonda come l’abisso, nello sgomento elettrico di Flower Moon o tra le pieghe ultra-apocalittiche delle demolenti Blood Dawn, Crimson Stone e Coil, ma anche con la temperatura che sfiora quella del deserto nelle infezioni mutoidmaniane di Tongues Playing Dead o nelle distensioni pesanti come montagne di Viscera Of Men, il risultato non cambia.

Siamo davanti a qualcosa di diverso e da cui uscire si fa fatica, e il rischio sarà, appunto, quando i singoli pezzi del puzzle si troveranno, da qui in poi a doversi confrontare con il futuro. Forse sarà oggetto di sfida, ma superare questa unione sarà difficile, soprattutto superarne l’intensità che solo scavando nel passato di ognuna di loro si può riscontrare. Intanto “Bloodmoon: I” è giusto che si erga sopra parecchie altre cose uscite quest’anno, o meglio, negli ultimi cinque anni.

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