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“The White Birch”, perdersi nel vuoto con i Codeine

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Ricordo giornate in cui il tempo finiva nel nulla di un ricordo, di un pensiero, delle nuvole che sfilano in cielo, insieme al fumo di una sigaretta che rompe una routine fatta di inazione e di nient’altro in particolare. “The White Birch” è così, nei testi e nella musica. Sentire per credere: i tempi rarefatti e dilatati, i rallentamenti e i silenzi, le aspettative disattese; le pause che fanno presagire qualcosa, magari una salvezza, e invece tutto torna come prima. Canzoni che si interrompono bruscamente. Quella cosa che in Vacancy dovrebbe essere un ritornello, ma non ritorna più. 

Sono, questi, gli elementi essenziali del disco, più ancora che le note. Sotto, una batteria che lavora in sottrazione. E la Telecaster di Engle, aspra e nuda, usata quasi come percussione, a cadere inesorabile e ripetitiva ancora e ancora proprio lì dove ce la aspettiamo. Niente sorprese, eppure sono brividi a ogni rintocco. Infine, le scarne parole di Immerwahr, che raccontano perfettamente qualcosa che ho conosciuto sulla mia pelle. Impotenza, il passare del tempo, le cose che vanno avanti come se nulla fosse, la vergogna di trovarsi in questa situazione e non riuscire ad uscirne, senza che ce ne sia un motivo vero. Se solcare oceani è in definitiva inutile, se non si riesce né a sorridere né persino a piangere, se addirittura i sogni sono in bianco e nero, allora tanto vale l’immobilismo. 

Certo, la poetica della rassegnazione è in sé contraddittoria: in fondo i Codeine hanno rappresentato uno dei capitoli più intensi (ancorché breve e oscuro) della storia del rock, il che vuol dire che ad un certo punto la forza di alzare la testa l’hanno trovata. Ma non è detto che la trovi anche l’ascoltatore, dato che “The White Birch” lascia vuoti ed esausti. Io, perlomeno, ho dovuto smettere di ascoltarlo, e ritornare oggi a brani come Tom, Washed Up e Ides è dura, perché mi riavvicina un po’ alla malinconia senza scampo di quei giorni.

Essendoci passato, mi permetto un consiglio: il naufragare è dolce in questo mare, ma si rischia davvero di restarne irretiti. E, per ironia della sorte, la difficoltà ad alzarmi dal letto è stata il motivo che mi ha impedito di vedere la band dal vivo, nel 2012, in occasione di una fugace reunion.

La depressione suona proprio come una canzone dei Codeine. La loro musica è tanto bella e viscerale quanto pericolosa.

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