Impatto Sonoro
Menu

Back In Time

35 anni fa, “Electric” dei Cult: quando l’hard-rock tornò alle radici e incontrò la New Age

Amazon

Prendi una band cresciuta nel gothic dei primi anni ‘80: The Cult. Prendi un produttore versato nell’hip-hop: Rick Rubin. Un bianco newyorchese che scoprì e lanciò non pochi protagonisti fondamentali di quella scena in quell’epoca, con la sua etichetta Def Jam, fondata quando era ancora all’università. Mettiamoci che eravamo ormai nella seconda metà del decennio e l’hard-rock era tornato ad essere la gallina dalle uova d’oro dell’industria discografica: Bon Jovi, Van Halen, Europe, sono solo alcune delle band che avrebbero preparato quel 1987. Anno che, per l’hard-rock cominciò a gennaio con il botto di “Appetite for Destruction”.

Nell’estate 1986 The Cult erano stati in studio per cercare di dare un seguito al già fortunato “Love” (1985): disco d’oro sia in UK che in USA. Ma non erano soddisfatti del risultato. Casualmente, il frontman Ian Astbury ascoltò il debutto dei Beastie Boys, uscito nel 1986 per la Def Jam e decise di andare a New York a conoscere Rubin.Licensed to III” eraun disco di rap-rock che utilizzava campionamenti dei Led Zeppelin e dei Black Sabbath, band che erano nel DNA di Astbury e della band, che fu catturata dal suono pulito del disco. Mentre gli anni ’80 erano l’era delle iper-produzioni, del suono bombastico riempito da strati di strumenti, Rubin aveva scelto un’altra strada.

A soli 23 anni di età, era già un innovatore e un produttore di hit, come il crossover “Walk This Way”, in cui si divertì a mettere insieme gli Aerosmith e i Run-DMC: divertimento assicurato anche al suo conto in banca, visto che il pezzo stava sbancando in mezzo mondo. Il giovane produttore vide evidentemente il potenziale di una band che aveva già i piedi piantati nell’hard-rock britannico del decennio precedente, che anche lui amava e decise di cominciare togliendo loro quella patina new-wave e gotica che si portavano dietro. Decise di mettere la voce in primo piano e dare prevalenza ai riff di chitarra, spingendo il chitarrista Bill Duffy a liberarsi di troppi effetti e a tenere i suoi assoli concisi e sul punto. Insomma, decise di ricominciare dalle radici dell’hard-rock: l’opposto di The Final Countdown, il tronfio inno hard/glam degli Europe che imperversava nelle radio e a MTV in quel periodo, sostenuto da una esplosione di sintetizzatori.

Racconta l’ingegnere del suono Tony Platt: “Rick Rubin stava registrando The Cult nello Studio A e noi ingegneri stavamo nella camera di equilibrio appena fuori dallo studio. Veniva riprodotto un brano di “Highway to Hell e poi uno di “Back in Black e poi uno dei Led Zeppelin, e abbiamo pensato: “Che diavolo sta succedendo lì?” [Un assistente di studio] ha detto: “Beh, sta prendendo i suoni della chitarra daBack in Black, il suono della batteria da “Highway to Helle il suono della voce dai Led Zeppelin!” Letteralmente, mentre stava mixando, prendeva un suono di chitarra dei Cult e poi lo confrontava direttamente con il suono di chitarra che voleva ottenere da “Back in Black. Lo stesso con tutti gli altri strumenti.”

Ed è così che nasce “Electric”: dalla volontà e dall’intuizione di capitalizzare su un sound che aveva venduto milioni di dischi a inizio decennio (AC/DC) e nel decennio precedente (Led Zeppelin). Un sound che poteva tornare a vendere milioni, nel momento in cui il genere stava tornando a dominare sulle due sponde dell’atlantico. Sarà forse per questo che si decise di attaccare il disco con Wild Flower: un compendio dell’hard-rock grezzo in 3 minuti e mezzo. Per mettere subito le cose in chiaro con i fan che compreranno il disco. Peace Dog segue e non è da meno. Billy Duffy sta carico a pallettoni su questo disco e sembra avere riff a palate per i fan. Un clone inglese dei fratelli Young. E lo dimostra ancora con Lil’ Devil che completa un terzetto micidiale di apertura.

Aphrodisiac Jacket vede Astbury fare il verso a Steven Tyler con i suoi urletti introduttivi: una ballata hard, proprio nello stile Aerosmith. Electric Ocean riprende invece il ritmo incessante da riff rock-blues delle prime tracce. Qui Astbury dà tutto: man mano che la canzone va avanti, la sua voce si stira e raggiunge nuove vette di estensione musicale. Duffy fa, in 20 secondi, l’assolo perfetto e senza tempo dell’hard rock. Con il riff di Bad Fun si corre in un rock’n roll in 2/4 che la sezione ritmica puntella tra le rullate del batterista Les Warner e le svisate del bassista Jamie Stewart. Qui l’assolo di Duffy è sempre brevissimo ma si sporca un pò nel suono. Nel complesso, la traccia ci mostra che questi non sono gli AC/DC, ma una band capace in tutto lo scibile del rock. Lo stesso si potrebbe dire per King Contrary Man: altro pezzo veloce, un pò sincopato per come lo porta la sezione ritmica, completato da un assolo magistrale e melodico alla Ritchie Blackmore.

Love Removal Machine è il pezzo di punta, il più appiccicoso, con quel riff che ricorda i Rolling di “Start Me Up”. Una traccia che, dal vivo è il cavallo di battaglia della band, come ho avuto la fortuna di testimoniare un paio di volte, con il pubblico che perde la testa costretto a pogare sotto un riff che consegna Bill Duffy all’olimpo delle divinità del rock’n roll. Sono quei riff che ti colpiscono allo sterno dandoti quella sensazione di benessere immediata come solo il sesso o la cioccolata fondente possono fare. La traccia si svolge secondo i migliori canoni dell’hard di tutti i tempi, con l’assolo che compare dopo due minuti e due ritornelli: 40 secondi in cui Duffy riveste i panni del miglior Jimmy Page, andando prima veloce e poi lento, in una serie di stop and go puntellati egregiamente dalla sezione ritmica.

Born to Be Wild è un pò il passo falso di un grande disco. Una cover fatta per senso del dovere, senza convinzione: Quando siamo usciti con Electric, sentivamo che dovevamo certificare in qualche modo che avevamo il rock and roll nel sangue e abbiamo pensato che Born to Be Wild sarebbe stato un buon modo per farlo” – ha raccontato Astbury – “Ho detto che non mi sembrava giusto, ma Rick ha detto di provarci e io ho detto: ‘Ok, proviamoci, sono aperto’, quindi è finito nel disco. Non ne avevamo bisogno e non sembrava proprio la cosa giusta da fare, ma eravamo ragazzi e si provava”.

Per fortuna, subito dopo viene Outlaw a ricordarci dove ci eravamo lasciati e a riprendere il discorso interrotto. Chiusura con Memphis Hip Shake: solido rock-blues che Astbury domina e conduce in porto, su un groove pesante e una chitarra acida a cui fa il verso.

Ecco il risultato del lavoro di Rubin con “The Cult”. Commercialmente, la band fece un passo avanti ulteriore: oro confermato nel Regno Unito e, questa volta, disco di platino negli USA. L’immagine di copertina ci presenta 4 ragazzi immersi nella loro epoca, acconciati da post-punk/glam alla Billy Idol quali erano, ma con il tocco New Age di Astbury che sfoggia un copricapo nativo americano, dichiarando al mondo la sua fascinazione per quella cultura. Nessun look da cattivo ragazzo rissaiolo e ubriacone alla AC/DC, come il sound potrebbe suggerire. Sono altri i riferimenti dei Cult.

“Sono un giovane lupo, ragazza / Ululando per te / Fiore selvatico / Stella dei miei sogni / La cosa più bella al mondo, sì / Sì, tu / Dolce sensazione di una nazione / Oh, anima mia / Sei una creatura perfetta / Sei un angelo, piccola / E io piango per te / Il mio cuore batte veloce”. Ecco quello che Astbury canta su Wild Flower: amore romantico nativo americano. Certo non i temi che frequentavano Bon Scott o Brian Johnson. Stessi riff alla AC/DC, stesso sound grezzo, ma altra attitudine. Lo dimostra anche il testo pacifista di Peace Dog, o l”oceano elettrico di amore” di Electric Ocean.

Electric” è il mondo nuovo dell’hard-rock, ricollocato nella sua epoca, in pieno spiritualismo New Age. Un sound e una musica che vengono periodicamente riconfermati e ricalati nell’attualità da grandi dischi come questo. E 35 anni dopo, ci ritroviamo a celebrare l’hard-rock “New Age” dei Cult, non quello coevo ma piacione degli Europe. Qualcosa vorrà dire.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati