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Wyatt E. – al beluti darû

2022 - Stolen Body Records
doom metal / sperimentale

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Tracklist

1. Mušhuššu
2. Šarru Rabu


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Il 18 marzo, nella quiete pre-primaverile, è uscito il nuovo album della band belga-israeliana Wyatt E., “āl bēlūti dārû” per l’etichetta londinese Stolen Body Records. 

Occorre fare delle doverosissime premesse per introdurre al meglio la band. Nel 2015, il loro EP di debutto “Mount Sinai/Aswan” ha attirato l’attenzione di Shalosh Cult, un’etichetta israeliana, che ha pubblicato, nel 2017, “Exile to Beyn Neharot”. In poco tempo i Wyatt E. hanno riscosso successo di pubblico e non solo, facendosi notare nei vari festival europei ed israeliani.

Il nome? È il mezzo con il quale uno dei membri del gruppo si collega alle origini ebraiche del suo bisnonno, un ebreo ashkenazita dell’Europa orientale che aveva origini dalla comunità Mizrahi della Siria. Sul leitmotiv della loro ricerca musicale dichiarano:

Perché scrivere la storia dell’Impero Neo-Babilonese? La risposta è abbastanza semplice. Nel 588 a.C. Il sacco di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor II e il rapimento dell’élite ebraica di allora a Babilonia è il punto di partenza di tutto questo. Siamo stati colpiti da questo pezzo di storia e abbiamo deciso di scrivere la nostra musica in questo periodo di tempo. Come colonna sonora della Storia. Come una connessione con il Santo.

Ma, dopo tutto questo papirone per introdurli, ora parlo finalmente di “āl bēlūti dārû” (in lingua accadica  “la città eterna”). Composto da sole due tracce da diciannove minuti, è il risultato di un uso impegnativo di tecniche e strumenti mai utilizzati prima dalla band: sassofoni, saz (detta anche chitarra saracena), voci distorte, percussioni massicce che creano vibrazioni caotiche, disordinate come una moltitudine di gente. Mušḫuššu (nome dell’animale sacro di Marduk) è mistica, sensuale e allucinogena. Tutto è estremamente bilanciato: il sassofono di Y. Tönnes, i bassi increspasti e i ritmi lenti ed ossessivi che caratterizzano la saz. Il tutto reso ancora più meditativo grazie ai tempi dilatati del doom metal. 

Šarru Rabu (“Il grande re”) è una marcia militare la cui struttura narrativa è quella di un poema epico nel quale, strato dopo strato, ci si prepara al momento in cui il climax raggiunge il suo massimo, esplodendo in mille frammenti di suoni per poi ricomporsi e ricominciare. Perché non ci si riposa mai. Nemmeno se hai vinto.

āl bēlūti dārû è un album non di facilissimo ascolto, ma è materia viva, densa, pulsante. È un suono che è prima di noi, è dentro di noi come parte della storia, come parte della connessione con qualcosa che è altro da noi. 

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