Midlake – For The Sake Of Bethel Woods

Ricordo ancora il giorno in cui scoprii per caso i Midlake, quel lunedì piovoso, entrando nel mio negozio di fiducia (ancora niente Spotify allora), rimasi stregato da quel suono che sapeva tanto di Radiohead quanto di folk anni ’70, così caldo, avvolgente, emozionante, con quella voce bellissima, tanto da farmi chiedere al buon Piero di che gruppo si trattasse (era “The Courage Of Others”). Lo acquistai, lo ascoltai, lo divorai, ancora oggi lo ascolto con piacere. Da allora, senza sapere il motivo, ne persi le tracce, non me ne interessai più, come se sapessi già che quello sarebbe stato l’unico loro album che avrei amato, come se sapessi che non m’avrebbero più regalato le stesse vibrazioni.

Sono passati 12 anni da quel giorno, da quegli ascolti, e per caso mi imbatto nuovamente nel loro nome, scopro che hanno pubblicato altri album, che da 9 anni sono via dalle scene, ma, soprattutto, che Tim, quella magica voce che li rendeva così profondi, non c’è più (no no, vivo, ma via dal gruppo). Scettico premo play, questa volta su Spotify, e vengo inondato da un suono familiare, consolante, sono sempre loro ma diverso, uguali ma altrove: non più Radiohead, più folk-prog, ancora più anni 70, con sprazzi dei migliori Porcupine Tree (quelli da “Stupid Dream” a “In Absentia”), melodie meravigliose (Exile, Gone), progressioni appunto prog (Glistening, Noble, Dawning, The End), tutto in punta di piedi, come sussurrato all’orecchio (forse a causa della comunque bella voce di Eric Pulido, che non cerca di emulare quella del succitato Tim, ma che cerca di donare allo stesso modo calore, emozione), delicato, di un eleganza mai banale, anzi particolarmente fuori dal coro.

Nulla di nuovo, ma quanta bellezza. Bentornati.