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Interviste

Indagando la formula della bellezza: intervista a Stefano Pilia

Foto: Matilde Piazzi

Uscito a marzo su Die Schachtel, “Spiralis Aurea” (qui la nostra recensione) è il nuovo album di Stefano Pilia. È un lavoro che affonda le proprie radici nel lungo e personale impegno del musicista genovese con la spiritualità e in un’epifania avuta durante una visita al cimitero del Passo della Futa – il luogo di riposo dei soldati tedeschi uccisi in Italia durante la seconda guerra mondiale.

Il titolo è ispirato invece alla Spirale Aurea, una formula matematica e una forma geometrica che ha mantenuto un significato sia mistico che creativo per millenni. Nelle intenzioni di Stefano PiliaSpiralis Aurea” si presenta come una serie di meditazioni sonore-forme spaziose che incoraggiano un ascolto attivo.

Ne abbiamo parlato direttamente con lui.

In “Spiralis Aurea” convergono diverse esperienze estetiche, camminare è una di quelle. Robert Smithson sosteneva che la vista e la camminata si influenzano al punto di tale che i piedi siano in grado di vedere. I tuoi piedi cosa hanno ascoltato mentre eri nel Cimitero della Futa?

In effetti nella mia esperienza è spesso così. Il camminare coincide sovente con l’accedere ad una stato riflessivo ed introspettivo. Spesso mi ritrovo in “ascolto” camminando. Il Cimitero della Futa è un luogo in cui si procede verso il suo centro camminando e percorrendo una spirale. Gia in questo, come visitatori, siamo in qualche modo chiamati al compimento di un atto rituale. E’ un luogo dove la memoria storica è viva e con essa il destino tragico di tante vite umane e di luoghi che durante la seconda guerra mondiale sono stati teatro di violenza e di distruzione. E’ quindi un’ opera di architettura “attraversata” da pensieri sul paesaggio, sulla storia, sui simboli, sul rito, un’ opera in cui estetica ed etica cooperano assieme nel mantenere viva la memoria ed inevitabilmente offrire una riflessione sulla vita e sulla morte. Una preghiera per i vivi e per i morti. Non vi è alcun intento celebrativo o retorico ma piuttosto ritualistico e commemorativo. Il discorso sulla memoria sembra qui inscritto in una considerazione più ampia sul senso dell’ esperienza umana e sul “viaggio del’ anima”. Un luogo in cui cielo e terra si incontrano e si toccano. Siamo qui a “camminare” tra cielo e terra e forse proprio nel camminare si percepisce metaforicamente anche il senso del nostro attraversare la vita in questa forma.

Mi ha colpito molto come il Cimitero della Futa sia costruito secondo la proporzione dell’ordine e l’armonia, quasi a rendere bello, armonico e sopportabile ciò che non è, ovvero la morte e la devastazione in seguito ad un conflitto. Tu che idea ti sei fatto trovandoti sul posto? Cosa hai sentito, nel tuo profondo?

Direi che esprime una ricerca di senso e di necessità di integrazione della morte stessa. Mi è parso, camminando e procedendo verso il centro del cimitero, di partecipare come ad un rito di integrazione. Una meditazione sul senso della morte e quindi della vita stessa.

“Spiralis Aurea” è un lavoro raffinato, sensibile. Ad ogni ascolto, qualcosa cambia. È materia viva e senziente. Quali sono state le tecniche compositive usate per raggiungere un risultato di questo tipo?

Ti ringrazio. È difficile parlare delle tecniche senza parlare in primo luogo delle istanze e delle intenzioni che hanno mosso l’opera. Spiralis Aurea è stato un lavoro di traduzione di figure geometriche e simboliche in un’architettura musicale, con l’idea che queste stesse potessero, per analogia, diventare come un “camminare” rituale, l’accedere ad un tempo ciclico e rituale.

Le idee generative individuate mirano a realizzare forme musicali i cui principi strutturali e formali sono determinati da numeri e rapporti di particolari serie numeriche -Fibonacci in particolare-, da certa numerologia e da figure geometriche di particolare rilevanza simbolica. C’è il desiderio di indagare e di scoprire possibili aspetti archetipici qualitativi legati a certi numeri, a certi movimenti e a forme connesse ai loro rapporti all interno di un contesto strettamente tonale. Il principio generativo è sempre quindi inteso come un “motore immobile” per il quale e attraverso il quale la forma musicale deriva come conseguenza di un processo in atto, algoritmico, isomorfo e sistematico ed è allo stesso tempo intesa come possibile manifestazione o rappresentazione di contenuti archetipici attraverso una metodologia di riscoperta delle proprietà armoniche e numerologiche presenti all interno dei rapporti tonali e in senso più ampio della tonalità.

Per entrare nello specifico degli aspetti più tecnici posso dire di aver utilizzato diversi principi di simmetria per l’articolazione della forma complessiva dei brani ed anche per la costituzione delle cellule generative che hanno poi generato nello specifico tutte la partiture. Le composizioni sono tutte scritte per quattro “voci” o linee e non prevedono un organico specifico, fatto eccezione per alcune di esse. In questa ricerca delle proprietà simmetriche c’è certamente un’ eco vicina alla musica di Bach e di altra musica rinascimentale, anche un certo tipo di lavoro attraverso i numeri caro a molta musica minimalista, penso ad Arnold Dreyblatt o ad Harry Partch. Il tintinnabuli di Arvo Part è stata una tecnica di contrappunto delle voci che ho ampiamente utilizzato ed in parte ampliato derivandone una mia versione attraverso considerazioni attorno alla serie di Fibonacci.

Ti va di raccontarci cosa significano per te le strutture matematiche a cui fai riferimento in Spiralis Aurea e come sono entrate a far parte della tua ricerca?

Rappresentano la necessità di relazionarsi a dei principi universali e di realizzare una pratica artistica che aderendo a tali principi miri a riconnettersi con un tutto più ampio e largo. Rappresentano un tentativo di comprensione della realtà sia a livello concettuale e filosofico ma anche estetico. Molti di questi principi sono strutture e dinamiche osservabili in natura. Appunto la spirale aurea, una funzione logaritimica la cui curva è ben descritta dal rapporto dei numeri della serie di Fibonacci, esprime un principio matematico osservabile in natura su varia scala: dai gusci a spirale dei molluschi alle disposizioni delle foglie di alcune piante, ai modelli di formazione stellare nelle galassie. E’ un punto chiave in cui il regno astratto della matematica si interseca con le strutture reali del mondo fisico.

Il “tradurre” determinati principi in una forma ed in un’ esperienza artistica credo possa offrire una ulteriore possibilità di relazione con questi stessi, una modalità di relazione che sia qualitativamente non solo di tipo razionale ma anche più direttamente empatica ed emotiva. Non che la matematica di per se non sia in grado di offrire anche un’ esperienza di tipo estetico, addirittura vicino al Sublime come testimonia Paul Dirac nella “la bellezza come metodo”. Esiste bellezza nell’ eleganza di certe formule matematiche. Le formule matematiche possono essere viste poi anche come un percorso nella parte logica degli archetipi ed arrivare a rappresentare con i pochi segni di un equazione dinamiche complessissime e vertiginose. Tuttavia è necessario avere almeno un po’ di familiarità con il linguaggio matematico per accedere a questo suo “sapore” estetico. Laddove invece grossa parte della fruizione musicale non necessità quasi di una conoscenza del linguaggio musicale, proprio perchè avviene su un piano che è prima del linguaggio. In modo forse più immediato e diretto può parlare all’inconscio e all’ anima rispondendo a quelle necessità di integrazione e di senso che non appartengono per loro natura solo alla sfera del “razionale”.

Vorrei farti una domanda che potrebbe sembrarti superflua o, peggio banale. Ma credo sia importante per farti arrivare anche a chi, per le più svariate ragioni, non ha avuto il piacere di confrontarsi con la tua musica, con la tua interiorità. Cosa cerchi, quando cerchi?

Cerco un’ “Immagine” che mi riporti al senso di Totalità e di Unità.

Foto: Matilde Piazzi

La materia sonora, quella grezza, quella primordiale dalla quale poi nasce una lavoro, da cosa è composta per te? Come te ne servi?

La materia sonora per me è tutto ciò che in qualche modo può diventare materia per creare arte sonora. I miei strumenti in primis, non solo quelli musicali ma anche tutti i materiali tecnologici per registrare e più in generale tutto ciò che può produrre o anche solo suggerire metaforicamente un evento sonoro. Materia sonora è pertanto non solo la tecnologia strumentale ma tutto ciò che emana da essa, ad esempio anche solo le prime cosiddette bozze che qualcuno genera con i propri strumenti alla mano sono materia sonora, appunti musicali che magari ancora non corrispondono necessariamente ad un’ intenzione precisa o non possiedono ancora delle intenzioni consapevoli. La materia sonora può essere a mio modo di vedere già una forma in potenza di un discorso musicale. la manipoliamo e la modelliamo con le nostre intenzioni “caricandola” di ulteriori strati di pensiero e di significato. E’ solo nel momento in cui si esercita questo atto ed esperienza della coscienza, sia come autori che come ascoltatori, che dalla materia sonora possiamo estrarre musica intesa in senso più ampio come arte dei suoni.

Cosa sono per te, nella tua ricerca, gli archetipi? Come ti relazioni con essi e qual è il tuo rapporto con essi?

Sono principi universali che sottendono alla vita. Di essi ne conosciamo alcune possibili manifestazioni ma non possiamo “vederne” l’essenza finale. Ci entriamo in contatto attraverso il mito, i simboli, i numeri, la matematica, più in generale aree della conoscenza.

La tua musica ha qualcosa di metafisico, di cosmico. Si pone, secondo la mia percezione, come “infra” tra ambient, sperimentale, in un certo senso progressive, insomma uno spazio nel quale tutto ciò che conta sono gli eventi e le esperienze, non il tempo. Come ti sembra questa suggestione?

Il tempo mi pare essere una categoria sempre ineludibile nell’esperienza musicale. Perché della musica facciamo comunque sempre esperienza attraverso il tempo. Però in un certo senso, hai invece ragione se ti riferisci al tempo inteso come tempo lineare, perché c’è un’ uscire dalla consuetudine del tempo lineare per entrare nell’ idea di un tempo rituale, liturgico e circolare e dove l’esperienza di ascolto possa diventare anche una partecipazione integrativa. Mi piace questo “infra” che hai usato, come un interstizio, un confine tra cose, una breccia o frizione che potrebbe anche nascondere una voragine di senso e magari anche genesi. Faccio fatica con le categorie di genere perché a mio sentire “riducono” ed “appianano” invece di “ampliare” e quindi in realtà allontanano da una comprensione più profonda e intima delle intenzioni di un’ opera. Specie poi quando si tratta di etichette che hanno a che fare forse più con il mercato che con delle reali intenzioni ed istanze creative comuni. Se ci pensi un termine come “sperimentale” in musica significa davvero poco o niente. Lo si usa per indicare genericamente tutte quelle musiche non “convenzionali” che hanno dietro un senso legato alla ricerca ma confesso che io per primo lo uso talvolta pigramente e sbrigativamente per rispondere con un generico “assaggio”.

Le tue collaborazioni sono varie, vaste e apparentemente lontane da quanto “suonato” nel tuo ultimo album. Cosa è confluito del tuo background in “Spiralis Aurea” e cosa, invece, è rimasto fuori?

Non lo so di preciso. È difficile per me individuare perché da tutto si impara e mi rendo conto che tutto mi ha lasciato qualcosa, e mi sembra che, proprio per questo forse, sia anche un po’ ingiusto fare una selezione. In senso più stretto certamente molte delle mie ricerche ed esperienze musicali legate alla composizione ed all’ improvvisazione elettroacustica: penso in particolar modo a dieci anni di esplorazione e di lavoro con i 3/4HadBeenEliminated assieme a Valerio Tricoli e Claudio Rocchetti e a Tony Arrabbito, gli studi di musica elettronica e contrabbasso al conservatorio ed anche quelli all’università di fisica mi hanno fornito in senso stretto degli strumenti di lavoro sicuramente importanti. Ma sul piano delle intenzioni, della volontà, del sacrificio, dell’ importanza politica ed anche etica dell’ arte e sul senso di responsabilità ad essa relativo penso a quanto sia stato importante tutto il lavoro e l’esperienza con Mike Watt. In un certo senso per me Mike è come un fratello, un fratello maggiore ed un riferimento sempre presente. Il Sogno del Marinaio, assieme ad Andrea Belfi prima ed a Paolo Mongardi ora, è stata sempre un’avventura inaspettata, coraggiosa e significativa, un progetto che portiamo avanti dal 2009. Apparentemente forse è distante in termini di “stile” e “linguaggio” ma sento sotto l’epidermide quante intenzioni in comune ci siano. Tutto il periodo con i Massimo Volume, con Mimì, Vittoria ed Egle è stato bellissimo, mi ha donato solidità ed esperienza. Così come con Rokia Traorè e Mamah Diabatè, con gli Afterhours, David Grubbs, John Duncan, Oliver Mann, Enrico Malatesta, Paolo Spaccamonti,Riccardo Dillon Wanke, Giuseppe Ielasi e Renato Rinaldi e tanti altri artisti ed amici incontrati in tutti questi anni e a tutta la fiducia e forza che mi hanno comunicato e lasciato. Ma penso anche allo scambio di dischi, di idee e di contenuti che ho avuto in modo alternato in tutti questi anni e tutt’ora con Jonathan Clancy, con Bruno Germano, entrambi cari amici con cui abbiamo condiviso diversi anni nei Settlefish ed anche vissuto sotto lo stesso tetto. Così come al senso di appartenenza e fratellanza che sento con Riccardo Biondetti ed Alessandro De Zan e Claudio -gli In Zaire-. anche a Massimo Pupillo con cui purtroppo si è rotta una lunga amicizia ma con cui abbiamo condiviso tante cose. Penso a Dean Roberts che mi ha incoraggiato tantissimo nei primissi anni 2000 e mi disse “devi assolutamente registrare questa musica che stai facendo”. Penso alla mia cara amica Alessandra Novaga, ed ai cari Mattia Cipolli e Giuseppe Franchelucci, allo scambio poetico e all’ amicizia che mi unisce a loro e a quanto sono stati direttamente importanti per la realizzazione di questo lavoro. Non ultimo penso a Bologna, la città in cui vivo da tanti anni, al suo tessuto artistico e culturale ed anche all’eredità della sua comunità fatta di artisti, luoghi, organizzatori, agitatori, giggoers, freaksflagflyers e creatori. È un eredità che nonostante tutto, nonostante il periodo buio, la gentrificazione e la frammentazione di questi tempi io sento ancora viva e che va tenuta in vita, testimoniata e rivalorizzata. Ci sono stati e ci sono esperienze incredibili che sono nate e cresciute qui. Solo per fare qualche esempio per me significativo penso a Starfuckers, Cut, Three Second Kiss, Splatter Pink, Nabat, Massimo Carozzi e Zimmerfrei, Dj Balli e Sonicbelligeranza, Dj Gruff, Cosmesi, Oppopoio, Francesco Serra, Daniela Cattivelli, Laura Agnus Dei, Valerio Maiolo, Tullia Benedicta, Caterina Barbieri, Cecilia Stacchiotti, Ivan Pjevcevic, Leroy, Iqonde, Grufus, Collars, Arto, Iosonouncane, Hobocombo, Mariposa, J.H. Guraj, Fera, Bassesfere, l’Orchestra Senzaspine, Ensemble Concordanze, Bemydelay, Wuming, Susanna Lapolla, Francesca Bono, Angela Baraldi, Silvia Tarozzi ed il coro Angelico, Il Turro, Scarrymonster, mr. Croci, Max, Ghedo e Simona, Uda, Gino Dal Soler, Il Neraz, Bifo, Paolo Fiore Angelini, Edoardo Gabbriellini, Istantanea, Blu, Erica il Cane, Cristian Chironi, Muna Mussie, Susanna Ljuljanovic, Gianluigi Toccafondo, Francesca Ghermandi, Andrea Bruno, Michelangelo Setola, Stefano Ricci, l’editoria di Canicola, Maple Death records, Improved, Il G.B. Martini elettroacustico grazie a Francesco Giomi, Lelio Camilleri ed Agnese Banti, i luoghi come il Freak out, il TPO, La libreria MODOinfoshop, Xing e Raum, il Das, il Cabotcove, Frida, il Covo, il teatro San Leonardo ed il festival di Angelica, l’Atelier SI ma anche la Cineteca e il CinemaRitrovato, Il Cassero e Genderbender e molti altri spazi. Solo per citarne alcuni. Va anche ricordato quanto molti altri luoghi e situazioni siano anche stati disintegrati a causa di un politica culturale borghese e stupida, economicamente cinica e poco lungimirante. Penso soprattutto a XM24, a Bartleby e al vecchio Link. Senza una comunità integrata, in relazione e valorizzata non c’è futuro. Va riconosciuto che ci sono da parte delle istituzioni oggi anche alcuni buoni segnali positivi. Bologna/città della musica quest anno ha sostenuto Spiralis Aurea e come questo molti altri progetti -Inizia in questo senso forse finalmente ad esserci anche un’ idea di supporto un po’ più concreta per un certo tipo e modalità di produzione artistica-. Forse sono uscito fuori tema rispetto alla tua domanda ma ci tenevo a esprimere questo pensiero e a testimoniare quanto la comunità, una comunità integrata nelle sue relazioni, sia importante e fondamentale per rendere possibile e vitale ciò che facciamo.

Foto: Matilde Piazzi

In “Spiralis Aurea” sei più compositore che esecutore diretto dei tuoi brani. Come se lasciassi spazio all’altro, o come se lasciassi uno spazio tra te e ciò che hai creato. Come ti relazioni con ciò?

Per me non è tanto la differenza tra compositore ed esecutore, anche perché considerato il mio percorso non avverto e non ho mai avvertito una forte separazione tra questi due ruoli. Ho compreso attraverso la mia pratica sia compositiva sia esecutiva la necessità di dover sempre più emancipare l’ opera da me stesso, nel senso di liberarla da tutto ciò di me stesso -e non solo-che non è ad essa necessario , “impurità” emotive, storiche ed espressive che talvolta nel loro essere appunto troppo personali rischiano di inibire un potenziale più ampio ed universale per cui l’ascolto possa diventare un’ esperienza in cui “riflettersi”-o parafrasando uno “specchio per l’anima”-, perché, altrimenti, “l’immagine” appunto, tende a distorcersi e il tutto a diventare piuttosto una manifestazione della personalità . In questo senso ricerco un’ ecologia dell’ ascolto che mi contempli si ma che non sia a me o da me soggiogata e dipendente. Un cristallo in cui riflettersi e lasciare uno spazio di proiezione il più possibile aperto per l’ascoltatore. Non mi interessa granché un discorso sulla “persona” sono più interessato ad un discorso per “l’ anima”. Non perché la “persona” non sia importante. Semplicemente mi sembra di constatare che le necessità dei miei lavori in questi anni di pratica artistica non siano focalizzate necessariamente sulla ricerca del “nuovo” e nemmeno di aderenza ad uno stile personale, di un genere specifico, ma piuttosto sul tentativo di creare un discorso musicale in grado di offrire un’esperienza di ascolto attivo e di relazione con possibili rappresentazioni archetipiche (da una prospettiva mito-narrativa o numerica). Questa, con declinazioni ovviamente diverse -e probabilmente anche con ingenuità-, è stata l’unica costante sempre presente nelle mie produzioni musicali. Da un certo punto di vista mi sembra che la mia poetica come artista cerchi sempre questo crocevia tra terapia, etica ed estetica. I titoli stessi dei miei lavori in solo dal 2003 ad oggi in qualche modo testimoniano il centro di gravità di tutto questo percorso.

Mi soffermo un attimo sulla copertina di “Spiralis Aurea”. È un lavoro artistico raffinato, ricercato. Ci racconti la ricerca tecnica, formale e concettuale legata all’art work?

È un lavoro stupendo di Bruno Stucchi, che insieme a Fabio Carboni è uno dei due curatori delle edizioni di Die-Schachtel, ed è anche il grafico di Die Schachtel. Bruno è stato in grado di cogliere sin da subito le intenzioni di questo lavoro, di aderirci nel senso più profondo ed a interpretarle attraverso il suo pensiero grafico, artistico, colto e stratificato. Riporto qui le sue parole perché sono a tal riguardo più precise delle mie: “La Spiralis-reticolo della copertina è liberamente ispirata alla pianta del cimitero, ma si rifà anche alla simbologia dell’hortus conclusus e del labirinto, intesi come scaturigini della meditazione e dell’ascesi. Le pennellate a tempera nera su carta Canson sono figlie di Kiefer e di Kounellis; le croci di Tapies e di Beyus. Ma la cifra principale è un rimando a Burri e all’arte povera, che si ritrova sia nella carta rugginosa, “francescana”, sia nella tecnica di stampa usata, la tipografia al torchio, effettuata a mano, foglio per foglio, su una pressa Koenig & Bauer Würzburg del 1915, ancora attiva nella storica tipografia di Don Bosco – Valdocco a Torino. Questo anche grazie alla collaborazione con Archivio Tipografico, realtà torinese dedicata alla preservazione e promozione dell’antica arte della stampa. Infine la parte Aurea, l’illuminazione, doveva venire da un piccolo quadratino di oro zecchino, al centro della composizione. Anche in questo caso era necessario che fosse applicata a mano, su ogni foglio, in modo quasi devozionale, con l’antica tecnica della foglia d’oro usata nelle insegne, nei vetri e negli specchi – e grazie all’aiuto di due artigiani torinesi che l’hanno riportata in auge. La sostanza che viene applicata a pennello per far aderire la lamina d’oro zecchino si chiama “missione”. Un cerchio, anzi una spirale, che si chiude.”

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