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Interviste

La poetica dell’altruismo: intervista ad Alessandro Fiori

Foto: Daniela Baiardi

Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Alessandro Fiori, tornato in scena giusto il mese scorso con il nuovo album “Mi sono perso nel bosco” (qui la nostra recensione), firmato 42 Records. Un album importante, maturo, da ascoltare e riascoltare, da tenere lì, sul comodino, e aprirlo ogni volta che ce n’è bisogno, come un libro di poesie.

Pronto? Sono Alessandro Fiori!

Sì, ciao Alessandro, sono Riccardo Folloni di Impatto Sonoro. Ciao, ciao.

Eravamo in diretta?

No, no, tranquillo, è una chiamata normale. Ti chiamo, tra l’altro, da Vilnius, in Lituania.

Ero purtroppo alle prese con l’eternit [ride, ndr].

Stai attento! Se sei al sicuro ora, beh, allora, ti posso fare qualche domanda veloce? Sono un tuo grande fan, Alessandro, perdonami, sarò parziale. Sono passate solo tre settimane dall’uscita del disco e già è stato detto molto: tantissime le recensioni, le interviste…e tutte positive, interessate, curiose. Quindi non mi va di stare a rimarcare quello che hai già ripetuto.

Sì, infatti, si va dal positivo all’entusiasta!

Ti faccio i miei complimenti e direi che già dal video che avevi pubblicato online, quando suonavi Una sera, sembrava proprio ci fosse il bisogno di un tuo ritorno: è stato molto bello, molto toccante. Il disco esce con una splendida copertina. C’è una nuova etichetta discografica e uno stile cantautorale apparentemente classico ma affatto retrò, anzi. Fiori è poi un noto sperimentatore, e come tale, spesso riservato. Ti aspettavi questa ricezione? Come stai vivendo queste settimane?

Guarda, non posso negare di essere contento…però devo essere sincero, al di là poi dei giochi delle parti, non sono completamente sorpreso, perché sapevo di aver tra le mani un bel corpus di canzoni, sapevo di aver lavorato in maniera scrupolosa, invitando a collaborare degli artisti che stimo molto e che sapevo avrebbero dato una direzione molto interessante, fedele e anche sorprendente a questo tipo di narrazione e di poetica. Quindi me la sto vivendo molto bene, ma anche, dai, da quarantacinquenne! Quando ho iniziato a fare questo gioco ero molto più giovane e quando usciva il disco c’era una fibrillazione molto diversa: andavo a leggermi proprio ogni trafiletto, anche se in una rivista c’erano cinque righe la compravo. Ora c’è un po’ più di distacco, mi sto informando, seguo con grande piacere, son delle lusinghe importanti. Mi accorgo di essere cresciuto. Son contento che, anche dopo la produzione, sia rimasto questo carattere di confidenzialità, di abbraccio collettivo che aveva sortito Una sera quando la buttai in pasto ai social. Vuol dire che il lavoro è stato fatto davvero bene, senza esasperate ambizioni o obbiettivi da raggiungere, è rimasta quella spontaneità.

Credo che si senta in tutti gli aspetti dell’album. Dici che è un disco corale, dove si sente un sostegno vicendevole, con molti amici artisti. Azzarderei un disco altruista, un album che si da agli altri…

È legato al discorso che si faceva prima infatti. Questo desiderio collettivo che ho sempre avuto, infatti saltavo da una band all’altra, mi piaceva sempre conoscere nuove persone, imparare, si è acuito con i due anni terrificanti della pandemia e del lockdown, delle chiusure forzate, di questa sorpresa che ci ha portato a richiudere, ancora di più, nel proprio mondo. Quindi, proprio in reazione a questo, l’esperienza di produzione del disco me la son vissuta il più possibile così, facendo sì che tutto si trasformasse in un gioco collettivo e gli attestati di stima si trasformassero in reali collaborazioni.

Foto: Stefano Amerigo Santoni

In qualche modo si può dire che credi nella musica possa, non dico salvare, ma almeno aiutare. Infatti scrivi: «le lacrime le porto all’Avis che salvo delle vite», che mi sembra già un manifesto poetico.

[ride, ndr] Credo che qualsiasi persona, con le sue competenze e il suo lavoro, se riesce a lavorare in maniera responsabile e tenendo questa freschezza che occorre in ogni mestiere è di aiuto in maniera automatica agli altri, qualsiasi sia il lavoro, dal commesso allo sportello delle posto a chi di lavoro scrive o canta delle canzoni. Davvero io mi commuovo quando vedo in questa società, in cui c’è in atto una trasformazione che sta portando a un vivere il lavoro soltanto come possibilità di entrata per continuare a sopravvivere, quando trovo persone che lavorano con passione, ma davvero che sia un direttore di una banca piuttosto che un benzinaio, mi è già d’aiuto, ho subito voglia di entrarci in relazione, e così provo a fare io nel mio piccolo. Se poi, in più, si riesce a creare una rete, allora siamo già ad un aspetto successivo. Per esempio nel mondo brasiliano ‘sta cosa c’è sempre stata, spesso, mi spiegava Marco Parente, hanno questa usanza di ringraziarsi, di collaborare, l’altro nel disco allora ti rispondeva, in quel mondo questa cosa è molto presente…da noi, bisogna dire che non lo è affatto, anzi, siamo spinti così oltre in questo individualismo che, eccezion fatta per qualche reale realtà giovanile, urban, metropolitana tipo Roma, Napoli, magari lì esistono davvero delle reti… Però solitamente invece il feat è diventato l’esasperazione di questo individualismo, collaborazioni trasformate in automatismi di nomenclatura. Invece no, questa è stata una cosa reale. Eccezion fatta per Levante, che non ho ancora conosciuto personalmente, è stata un’idea di Colasanti, il mio manager, che mi ha proposto Claudia con la quale aveva già collaborato, infatti ci sta benissimo: una cosa da una parte buffa, da una parte sensuale, da una parte tragicomica, ci sta perfettamente. Tutti gli altri sono proprio amici che hanno continuato a manifestare il loro abbraccio, la loro stima e il loro sostengo direttamente poi anche nella fase di produzione.

Mi interesso molto della tua scrittura, raffinata, poetica, che ovviamente è una poetica del quotidiano e della commozione, ma con una certa attenzione per la distorsione che c’è nel quotidiano e alla complessità della semplicità. Quali sono i tuoi punti di riferimento, le tue coordinate artistiche? Cosa leggi, cosa ascolti?

Non sono né un lettore né un ascoltatore maniaco, non l’ho mai fatto. Sono molto sensibile alle sostanze, in senso lato. I miei amici erano invidiosi, quelli della cultura del mondo psichedelico, che lavoravano con l’LSD con i funghi, quando sapevano che io, con due o tre tiri d’erba arrivavo al livello dorato, morbido, con un tirino arrivavo a questo blues elettrico, loro m’hanno sempre invidiato. Per dire che, se assumo letteratura o altra musica, ho così tanti input e stimoli che spesso non riesco a completare il percorso su un autore, ho subito troppa necessità di tirar fuori roba che mi si è in poco tempo sedimentata dentro. Però qualche nome te lo posso fare: ho letto da poco il libro di un amico, che vive in provincia di Arezzo, si chiama Alessandro Gori detto Sgargabonzi, è un autore amaro, comico però che spinge l’acceleratore su degli ambiti quasi disturbanti. Poi sto leggendo da anni solo Gianni Celati. Prima leggevo Piero Chiara, mi piace molto la sua scrittura. M’è piaciuto tantissimo “Mattatoio n.5” di Vonnegut. Vorrei leggere anche Orwell ma ancora non l’ho fatto. Sono circondato da libri, non c’è niente al mondo che mi piaccia comprare quanto i libri e non c’è niente che mi da più stimolo dei libri, anche soltanto il gioco di averli intorno, di toccarli, di sfogliarli, di annusarli. Però poi, ho letto trenta pagine e devo mettermi a scrivere perché mi arricchiscono troppo e quindi leggo soprattutto romanzi, racconti, perché così sono sicuro di arrivare alla conclusione di un discorso. Ora ho la seconda raccolta di racconti, il terzo libro pronto. “Gite” aveva avuto, anche da un punto di vista delle vendite, un certo successo. Ma 42 Records ha congelato tutto perché preferiscono che prima si faccia tutto il ciclo del disco e poi con tranquillità parleremo di quest’altro passo. Per quanto riguarda gli ascolti: negli ultimi mesi ho letteralmente mangiato un disco che si chiama “Circles” di Mac Miller, un ragazzo che è mancato giovane, un disco clamoroso, a me fa impazzire. Poi da poco ho conosciuto questo compositore degli anni ottanta emiliano, Tiziano Popoli, di formazione classica, accademica, sperimentale, anche per il teatro, che ora ha ritirato fuori delle sue registrazione su nastro, pubblicate da poco. Ore di materiale, strumentali, wave si può dire, veramente con un gusto e un’ispirazione clamorosa. Poi c’è Nicolas Zullo, che ho avuto la fortuna di produrre, un cantautore di Viareggio, che ha fatto il suo debutto, uscito poco prima del mio, si chiama “Chiedendoti montagna”. È un ragazzo molto dolce e ha dei pezzi molto belli, una bella produzione. Mi piace ascoltare Post Nebbia, che è un altro gruppo di Padova. È un periodo, come dire, di nostalgia, di ascolti del passato. Mi sto trovando a riascoltare i vecchi dischi di Zucchero, certi titoli metal che ascoltavo da giovane, Metallica, Iron Maiden, i Megadeath, qualcosa degli Slayer. E poi ho provato a conoscere finalmente, per bene, Fossati ma, ahimè, io non riesco ancora a entrarci in sintonia… E l’ho fatto perché un recensore aveva trovato tanti link tra la mia scrittura e la sua, tant’è che pensava che lo conoscessi a menadito… Ma anche Bob Dylan…ce ne sono alcuni che non c’ho fatto amicizia, ma sono sicuro che prima o poi ci riuscirò! E quindi con Fossati ancora… Ma magari son motivi futili, anche come il modo, semplicemente, di impostare la voce, lo stesso timbro, alle volte c’è un qualcosa che ti avvicina o ti respinge appena appena. Anzi, ascoltando Fossati, ho capito di non essere un cantautore tout court io, credo di appartenere a una scrittura quasi classica ma pop, piuttosto che cantautorale. Mi interessa molto di più il lato iper-reale, quello surreale, quello metaforico, mi piace che vengano fuori delle altre chiavi di lettura, però in maniera spontanea, andando a ingrandire il più possibile ciò che di microscopico abbiamo intorno. Certi cantautori più trasversali, tipo Ciampi o Jannacci, lì mi ci trovo, sento vibrare delle corde simpatiche in sintonia con loro. Delle volte mi sento più vicino ad un pezzo di Grignani che…appunto…di Fossati.

Foto: Daniela Baiardi

Siamo già al quinto album, è un percorso musicale lungo e complesso. Questo sembra un album maturo, lo hanno detto in tanti. Cosa vedi quando ti guardi indietro?

Ohi ohi…guarda, onestamente, io sono così anche bravo a scrivere delle increspature di ciò che ho intorno, sia dal punto di vista spaziale che temporale, anche perché magari non sono molto bravo a guardare avanti e indietro. Mi piace soffermarmi nel qui e adesso, anche perché ho la fortuna di avere dei bimbi, che devi trovare davvero il modo di non proiettarli da nessuna parte, ma semplicemente di viverli. E quindi non c’avevo pensato a guardarmi indietro. Avanti non guardo, davvero. Oppure mi capita, raramente, di guardare tanto tanto indietro. Mi viene da pensare all’inizio di Troppo silenzio, quella parte in dialetto sorsese; oppure mi viene da pensare a La vasca, il pezzo che scrissi per il debutto “Attento a me stesso”. Questi ripescaggi nell’inconscio dell’infanzia, sì, mi capita di sprofondare lì da quelle parti, da un punto di vista sentimentale. Guardare indietro faccio fatica, spesso mi provoca dei leggeri imbarazzi, mi sembra sempre di essere fuori fuoco, inadeguato, poco rispettoso del mio sguardo, cose che in realtà poi vengono smentite anche semplicemente dalla gratitudine delle persone che seguono il mio percorso e ascoltano le mie cose. Vedo un ciclo a spirale, questo disco mi sembra davvero una specie di nuovo “Attento a me stesso”, come se il ciclo della spirale fosse tornato lì. Ovviamente non è sempre il solito punto, va sempre variato, e infatti si sente. Però lo sento fratello di quel disco lì. Credo d’averci provato, non ho fatto un disegno, è tutto molto istintivo, randomico. Mi piace che ci sia una trasparenza e anche un rispecchiarsi, rispettoso della vita. Questo rimbalzare tra le opere e quello che succedeva nella vita di Alessandro. Alla fine sono abbastanza contento.

Bellissimo Alessandro…E quando ricominci a suonare? Ti aspettavo a Bologna ed è stato annullato..

Purtroppo! Si stava mettendo su una cosa molto bella, c’erano cinque appuntamenti e sono riuscito a fare soltanto i primi due. La prima a Firenze e si è trasformato in una specie di release party. Poi il secondo a Torino è stato molto bello, perché io ho eseguito cinque pezzi accompagnato da Enrico Gabrielli al sax contralto, una cosa bellissima. Avrei dovuto andare avanti con Bologna, Milano e Roma e mi sono beccato il Covid… A Bologna stava venendo speciale, perché mi sarei esibito laddove il disco è nato, in Fonoprint; doveva venire anche Francesco Chimenti ad accompagnarmi col violoncello, c’era già pronta una troupe venuta a registrare sia video che audio…e purtroppo sono saltate. Soltanto quella di Bologna, forse, sarà recuperata. Milano e Roma si trasformeranno in concerti con band. Intorno al 20 giugno inizia la tournée e sarò in giro col quintetto.

…allora ti aspetto a Bologna, Alessandro! Ti ringrazio di cuore, sei stato preziosissimo!

Ci si vede a Bologna, fatti riconoscere! Buona primavera!

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