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Bobby Joe’s Long Friendship Party – AOH!

2022 - Aldebaran Records
darkwave / synth pop

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Tracklist

1. Chi ha ucciso Laura Palmer?
2. Mortacciloro
3.  Stuff da Night Starker
4. Notte de varpurga
5. Bela Lugosi's Tanz
6. Vatewave
7. C'ho tutto un sogno Ramones
8. Happy Birthday
9. C'è da dire


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“Drama-synth-coatto-wave”. A volte basta una definizione per avvicinarci ad un progetto che non conosciamo. Ora, capita che nel marasma di uscite che ci bombardano (non in quanto “giornalisti”, bensì in quanto ascoltatori) molto si perda, ché in una giornata ci sono 24 ore e via discorrendo. Mi sono parato il culo a sufficienza? Perché i Bobby Joe Long’s Friendship Party sono in giro da qualche anno e finora non li ho mai approfonditi e ho finito per pentirmene.

L’Oscura Combo Romana sceglie di integrare il nome di un serial killer feroce come pochi nella propria ragione sociale – e già questo è un punto a favore – e si getta a capofitto nel mondo rétro che da una quindicina d’anni spazza il mondo della musica qui e altrove, compiendo un ulteriore passo avanti/indietro. I contenuti di “AOH!” e lo stile dei BJLFR sono storiografia di strada, lerciume urbano messo nero su bianco o inciso sui marmi di Roma e racconta di un mondo che è ancora ma che è anche già stato, come una autobahn in loop su cui corrono e si rincorrono personaggi e accadimenti su automobili provviste di autoradio/mangianastri che sparano a volume indisponente il meglio della darkwave e del synth pop del secolo scorso. Se i Soft Cell seguitano a narrare non solo di un pianeta malato ma anche di un’Inghilterra marcita fino al midollo, perché non farlo dell’Urbe Æterna?

Su tutto ciò aleggia la voce di Henry Bowers, dalla cui lingua scivola la narrazione di un luogo avviluppato nell’ombra esplicato nel tramite di cantilene ipnotiche. Eccoci dunque alle prese con i ritmi sdraianti che pulsano come strobo su piste da ballo annientate dal vento del terrore atomico e sferzate da scratch di decenni differenti (DJ Myke ai piatti, mica cazzi), la parlata coatta che inficia persino le soluzioni anglofone e si aggira tra i vicoli sintetici spesso lanciata contro tutto e tutti (la A del titolo cerchiata la dice lunga), combinazioni letali di disastri di cronaca nera e politica marcita che ancora infesta la Capitale e da lì, come un virus, fa ammalare tutto il resto. In mezzo alla patina scintillante appaiono chitarre violente e punk segaossa che sfiora la violenza agganciandola a spuntoni di drum machine incattivite brutalizzate da psicofarmaci e parole scomode che più scomode non si potrebbe, cosa sempre più rara a queste latitudini, perché è molto più facile cantare del nulla che far girare il cazzo a tutti, oggi più che mai.

Non possono mancare vampiri bauhasiani limati su bolidi funkeggianti che ricordano i Righeira se si fossero scontrati con gang di strada gotiche e infuriate, abbandonate a loro stesse, sporchi e sensuali come solo il male potrebbe essere, e ancora piogge acide di sassofoni incellophanati a mandare in ulteriore rewind il nastro, imprigionati in un altrove temporale da cui scollarsi è sempre più difficile.

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