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Arthur Brown – Long Long Road

2022 - Prophecy Productions
psychedelic blues

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Tracklist

1. Gas Tanks
2. Coffin Confession
3. Going Down
4. Once I Had Illusions (Part 1)
5. I Like Games
6. Shining Brightness
7. The Blues and Messing Round
8. Long Long Road
9. Once I Had Illusions (Part 2)


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Come ho scoperto Arthur Brown? Molto semplice: avete presente Lunchbox di Marilyn Manson, tratta dal suo album di debutto “Portrait Of An American Family”? Ecco, in quel brano, dopo il lascivo ritornello appare dagli sbuffi di zolfo una voce che declama “Fire, I bring you…Fire!” Quella voce infernale, “la voce della morte” a dire di Bruce Dickinson, che evoca il fuoco degli inferi del quale è il Dio era proprio di Arthur Brown. Il brano, il suo più celebre, uscito direttamente dal suo debutto del 1968. E ora, dopo innumerevoli vite, e fuori dal suo Crazy World (e nemmeno così tanto), a quasi 80 eccolo ricomparire, senza essersene mai andato.

Tante leggende apocrife come è Arthur Brown (e si contano sulle dita di una mano, tipo Screamin’ Jay Hawkins e Captain Beefheart e poche altre) sono diventate parte del tessuto del mondo sotterraneo del rock, senza ascendere ai fasti del grande pubblico, senza finire sui rotocalchi, eppure incrociando l’Olimpo, ad esempio ottenendo una parte in “Tommy” dei Who, ma continuando a battere la propria strada senza desiderare altro che abbracciare la propria arte. Svariate decadi ci dividono dagli anni ’60, eppure Brown sembra non essersi mosso da là.

Non integrare un’oncia di contemporaneità in un lavoro uscito nel 2022 può sembrare un suicidio, e certamente commercialmente lo è, ma a costo di risultare degli inutili romantici, l’Arte non necessita del soldo a tutti i costi. “Long Long Road” è un titolo che descrive perfettamente il percorso browniano, e assieme al collaboratore di lunga data Rik Patten Arthur decide di percorrerlo tutto a perdifiato. Rituali psichedelici di uno sciamano che ancora brucia di un incendio appiccato troppo tempo fa ma ancora potente, potente come non mai, i brani si perdono nei labirinti di un mondo che non esiste più; l’elettricità è complice del legno, nastri che si sfasciano ed esplodono sotto a tappeti blues che evocano illusioni sostenute da una voce che pare uscita dalla catacomba più fredda e umida e che ancora sa frantumarne le pareti frase dopo frase, strofa su strofa, come una macchina calibrata per non essere giusta mai.

Il rock che sanguina, il punk preso di striscio a badilate risultando post, svisate psychiche che balzano fuori dai peggiori anfratti, luci che si rifrangono su piani elettrici urlanti formule dimenticate che qui tornano a brillare di luce propria con un’energia che manco il più cazzuto e carico dei ventenni potrebbe mai. Questa l’alchimia di Arthur Brown.

Sarò onesto con voi, miei cari, se non lo conoscete questo disco forse non vi rapirà…oppure, se siete tanto curiosi e coraggiosi potreste lanciarvi in un viaggio nel tempo e in una discografia che non sembra aver intenzione di interrompersi.

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