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Chat Pile – God’s Country

2022 - The Flenser
noise rock / post punk / sludge metal

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Tracklist

1. Slaughterhouse
2. Why
3. Pamela
4. Wicked Puppet Dance
5. Anywhere
6. Tropical Beaches, Inc.
7. The Mask
8. I Don't Care If I Burn
9. Grimace_Smoking_Weed


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Tempi oscuri richiedono gruppi altrettanto oscuri o che almeno diano voce al malessere dominante e farlo all’interno dell’impero capitalista, con i capisaldi al di qua e al di là dell’Oceano ha di nuovo, ancora e sempre il suo perché e che a farlo siano gruppi nuovi ci fa sentire meno perduti in questa flatland che spinge i suoi confini ogni giorno più in là.

Differenti realtà richiedono differenti punti di vista e modi di esprimersi. L’anno, lo sappiamo, è il 2022, non si parla di vegliardi che mandano affanculo questo o quel leader politico (per carità, continuate pure a farlo), ma di nuove leve che sentono l’urgenza crescere nel petto e la merda sempre presente nel campo visivo, perché è così oggi ancor più che nel secolo scorso, tutto è perennemente in ballo e danza senza posa dinnanzi ad ognuno di noi. Di imperi si parla, e, sempre in questo 2022 sempre più fetido e simile al passato, ci sono debutti sulla lunga distanza che analizzano gli accadimenti con sardonico black humour come gli Yard Act (Vecchio Mondo) e altri che chiamano a gran voce dagli abissi della Terra colate di sangue simile a magma, e questo è il caso dei Chat Pile. Band che hanno in comune natali nuovi di zecca e un obiettivo comune, ma che parlano due lingue che più diverse non si potrebbe. Anche questo distinguo è importante.

La storia dei Chat Pile si svolge ad Oklahoma City, nel Paese di Dio, un’entità che ignora che i suoi figli vadano al mart a comprare armi di ogni tipo per annientare i propri simili, un Paese in cui il dolore è lo strato di pelle che ricopre muscoli, tendini, ossa, è l’Emendamento Zero, la Legge Suprema di una Corte Suprema di mostri che odiano e odiano e odiano ancora. L’odio permea un mondo che si è spinto dove non avrebbe mai dovuto. Storia vecchia, storia biblica, storia ipocrita. Il capitalismo che tutto divora lo si vede campeggiare sulla copertina di questo debutto, una foto a colori che racchiude presente, passato e futuro, claustrofobica, imprigionata tra linee del telefono, cavi elettrici, cemento, cessi chimici e un cielo terso a fare da contraltare. Fa la differenza, una copertina così, perché ci parla già di quel che sentiremo una volta abbassata la puntina. Senza spoiler di sorta, perché non sempre si è preparati a tanto male.

Le storie che dalla penna di Raygun Busch colano sul foglio e da lì migrano nella sua gola imbevuta di benzina sono storie comune, cose che si vedono e sentono ogni giorno, reali e per questo spaventose e raggelanti. Le realtà dei beatnik, oltre lo spazio e il tempo, si posano ancora una volta nel presente, e oltre i viadotti, sul cemento arroventato dal sole che bacia il Paese di Dio si consuma il peccato, ogni sorta di peccato, di crimine e follia, efferatezze dall’alto e dal basso. Dagli scranni ai seggiolini. Le sue grida si trasformano in voci atonali e ancora in flebili melodie, narrano di senzatetto, di paradisi immaginari e illusori cacciati in gola al consumatore, dolore personale e sogni di morte, storie di paranoia che culminano in colpi di pistola, di lavori che si portano via tutto sia dal corpo che dalla mente e dipendenze che annientano, esseri che emanano solitudine illuminati da uno schermo, serial killer anni ’70 che massacrano e massacrano e massacrano sempre sotto gli occhi di Dio, occhi che se ne infischiano coi suoi officianti a benedire la canna del fucile.

Tutto attorno alla narrazione Luther Manhole, Stin e Cap’n Roll costruiscono una palazzina di malessere e disagio che succhia la linfa vitale dalla carcassa del noise rock, dipingendo le pareti della materia cerebrale di post-punk e doom, ferocia paranoide, assalto interiore che con ganci distorti si porta via quel che resta dell’umanità con bordate di rumore formidabile e di silenzi infestati da spettri e detriti, un pandemonio senza possibilità di redenzione e violenza inenarrabile, efferata e inarrestabile nella sua corsa verso l’Inferno, sempre ammesso ce ne sia uno oltre a quello in cui viviamo.

Ed è solo il primo album.

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