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Nausea, disgusto ed estetica punk: “Blank Generation” di Richard Hell & The Voidoids

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Se non il punk, Richard Hell ne inventò almeno l’estetica: le magliette stracciate, le catene, le spille da balia e i capelli di uno appena sopravvissuto alla sedia elettrica si devono appunto a Richard Meyers, un bad boy che prima di portare a New York le proprie ambizioni da poeta e romanziere, passava il tempo ad appiccare il fuoco ai campi dell’Alabama assieme a Tom Miller, uno che poi si farà chiamare Verlaine per motivi che non sto nemmeno a spiegare.

Fu l’ex manager delle New York Dolls, Malcolm McLaren, ad esportare a Londra quel look : gestiva un negozio di abbigliamento dalle parti di Chelsea assieme alla moglie Vivienne Westwood, il Let It Rock, e non gli fu difficile suggerire una nuova moda ai giovani che frequentavano il locale, tra i quali Sid Vicious. Fu così che i Sex Pistols trovarono un’immagine da mettersi addosso. Nel frattempo Richard Meyers, diventato Hell, faceva il commesso in una libreria sulla Bowery assieme a Patti Smith, passava le notti al CBGB’s, scriveva poesie e formava rock’n’roll bands nelle quali suonava il basso: la prima furono i Neon Boys, assieme al  vecchio compagno di fughe da scuola Tom Verlaine. Quando in formazione entrò la seconda chitarra, quella di Richard Lloyd, il gruppo cambiò nome in Television e cominciò a pensare all’epocale “Marquee Moon“: per divergenze artistiche con Velaine però, Richard Hell non entrò mai negli studi di registrazione, preferendo a quel punto rimettersi in gioco con gli Heartbreakers di Johnny Thunders, un altro che in quanto a maledettismo non prendeva lezioni da nessuno.

L’esperienza durò poco, e allora il nostro fondò una band tutta sua, i Voidoids, con i quali fece parte della sacra insurrezione del punk newyorkese con un paio di dischi che lo elessero a santo col gel del movimento. Il primo sopratutto, “Blank Generation“, bruciante manifesto di un’epoca e di una generazione disorientata alla disperata ricerca di qualcosa con cui riempire il vuoto del titolo. Con la foga di un giovane Dylan accelerato dalle anfetamine, influenzato tanto da Rimbaud quanto da Burroughs, Richard Hell tossiva un punk rock disperato e romantico e pieno di aspra poesia metropolitana. Il più letterato tra i nuovi eroi del ’77 newyorkese cantava con l’angoscia ficcata in gola e “Blank Generation” era sfogo, esorcismo e chiamata alle armi. La canzone che dava il titolo all’album era un’autobiografia tascabile con le vite di un’intera generazione dentro: Blank Generation rilasciava un senso amaro di rabbia, disgusto e paranoia, era confessione e penitenza insieme e ci mise un amen ad iscriversi all’albo degli inni generazionali.

L’altro anthem dell’album era Love Comes In Spurts, messo all’inizio come incipit programmatico, era la vampata che illuminava l’ingresso nel party tossico di Richard Hell. Se il pensatore punk che girava con una maglietta con su scritto “Please Kill Me” portava la poesia , furono le trovate genialmente atonali alla chitarra di Robert Quine a dare all’album le screziature avantgarde. Appassionato di Ornette Coleman e free jazz, Robert Quine era un ex hippie capitato chissà come nella palude urbana del Lower East Side, e assieme all’altro chitarrista, Ivan Julian, erano le fiamme gemelle del punk rock di New York, e con la danza isterica degli otto minuti di Another World andavano a giocarsela alla pari in casa dei Television .La potenza di fuoco della band era completata dal batterista Marc Bell, che già aveva in tasca il biglietto di sola andata in direzione Ramones, dove si farà chiamare Marky Ramone.

Blank Generation” non era solo nausea, disprezzo e sarcasmo, e qua e là emergeva un lato quasi ludico, come nella sgangherata Down At The Rock And Roll Club.Così come non tutto poteva dirsi all’altezza di quei pezzi che lo resero “essenziale per qualsiasi collezione di dischi”, per dirla alla Lester Bangs. Dopo “Blank GenerationRichard Hell seguì soprattutto la propria vocazione letteraria (romanzi, saggi e poesie) e il secondo album (“Destiny Street“) arrivò solo cinque anni dopo. Poi qualche apparizione cinematografica, un supergruppo con Thurston Moore e Steve Shelley dei Sonic Youth e Don Fleming dei Gumball (i Dim Stars), e qualche concerto giusto per pagarsi le bollette e l’eroina.

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