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“One By One”, i vent’anni del cuore inchiostrato dei Foo Fighters

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I Foo Fighters sono esplosiva ed inesauribile fonte di energia fatta di musica, strumenti, passione e anima. Soprattutto anima. La loro storia non è mai stata semplice e serena, ricca di una miriade di scenari sofferti e tasselli contorti. Tra questi, vent’anni fa, l’uscita di “One By One”. Quarta fatica del gruppo di Seattle, l’album ebbe una gestazione tormentata, frutto di un processo lungo e doloroso, confuso e per nulla lineare. Ricovero per overdose del batterista Taylor Hawkins, due anni di tour stancanti alle spalle, militanza del frontman alla batteria dei Queens Of The Stone Age e dissapori tra i membri della band (rischiando più volte di sciogliersi!), fanno di “One By One” uno tra i lavori più sudati e complicati per Dave Grohl nel suo viaggio musicale post Nirvana. 

Potremmo definire “One By One” un album dall’andamento altalenante, in cui è possibile ascoltare i Foo Fighters nella loro versione più pesante e di impatto, ma con un livello di aggressività inedito, che traspariva solo in parte nei precedenti lavori. Il sound è decisamente grezzo, con una forte reminiscenza da live album. La composizione della sua musica è impregnata delle radici punk, riscontrabile in particolare in alcuni riff  serrati e scanzonati. La produzione di Nick Raskulinecz, poi, conferisce un appiglio decisamente più sporco e convincente rispetto al precedente “There Is Nothing Left To Lose”; tuttavia, in alcune parti, il tappeto sonoro può risultare un po’ soffocante e assordante.

“One by One” col suo cuore d’inchiostro disincarnato (artbook e copertina sono state curate dall’artista Raymond Pettibone) è composto da undici tracce. L’opener All My Life (in pianta stabile nelle setlist dal vivo e tra le più apprezzate dai fan) ha un riff orecchiabile, un possente drumming di Hawkins e un testo ben confezionato. Quando con ritmo secco e deciso Dave Grohl canta “I see your ghost” credo sia impossibile non pesare a Kurt Cobain. Grohl, ex-batterista dei Nirvana, non ha abbandonato le battaglie esistenziali del grunge. Sono ancora presenti l’insicurezza, la roca vulnerabilità, le chitarre basse e i crescendo vulcanici, ma ben mescolati all’hip-hop, al pop e al punk. Se i Nirvana cantavano la solitudine di Kurt, i Foos cantano di connessioni col mondo intorno. 

Riff aggressivi sono presenti anche nella seconda traccia Low, che risente molto della permanenza di Grohl nei Queens Of The Stone Age, e in Have It All, con le sue stridenti dissonanze new wave e un finale quasi metal. Segue quello che è diventato un vero e proprio inno per la band, Time Like These, dove sono cristallizzati tutti gli elementi caratterizzanti i Foo Fighters: melodia ricercata, testo profondo e la voce intensa di Dave sul finale: “It’s times like these you learn to live again/It’s times like these you give and give again/It’s times like these you learn to love again/It’s times like these time and time again”.

Segue Disenchanted Lullaby col suo ritmo posato, accomodante e decisamente rilassante. Arpeggio quasi ipnotico e un ritornello alla Kiss che non delude mai; resta ancora oggi una traccia innovativa e giovane. Tired Of You strizza decisamente l’occhio ai Nirvana. Una malinconica ballad acustica, in cui compare Brian May dei Queen alla chitarra, con in apertura una dolorosa promessa: “I won’t go getting tired of you”. Si continua col caldo strimpellamento folk-rock di Halo e l’intro acustico di Lonely As You con le sue fedeli progressioni grunge discendenti:  “Down and out again but I’m down with you”. Sulla scia di costruzioni più levigate, invece, la sbarazzina Overdrive arricchita dal basso di Mendell e una linea vocale vincente. Burn Away è la Learn To Fly “lite”. Si innalza per quasi cinque minuti, per poi lasciare il posto alla conclusiva Come Back. Nei suoi sette minuti racchiude un pò tutti gli aspetti di “One By One”: rabbia e dolcezza acustica. Si allude in più frangenti al concetto di fine, espresso da toni cupi e bassi in contrasto col ritornello e con uno sfocato arpeggio acustico: pura poesia per le orecchie. “Dead on the inside, I’ve got nothing to prove/Keep me alive and give me something to lose” – canta Grohl, per poi lasciarsi andare nell’ululato grunge “I will come back!”. Il brano potrebbe raccontare del riavvicinarsi di due amanti o della resurrezione del grunge. E non farebbe alcuna differenza. 

Certi brani sono più forti di qualsiasi autobiografia e potrebbero raccontare con disarmante lucidità la tempesta e le tormentate emozioni di una qualsiasi relazione. Produrre certi brani è quello che fa una band dannatamente brava come i Foo Fighters

“One By One” è l’album più completo che il “gruppo della porta accanto” abbia mai realizzato. Forse per qualcuno non sarà il loro migliore lavoro, complice certamente la sua genesi complicata e la sua non immediatezza nell’ascolto. Innegabilmente, tuttavia, resta un album robusto e melodico, capace di regalare un hard rock scintillante, ricco di ritmo e ipnotiche chitarre distorte. Un album che, tra le altre cose, ha fatto sì che i Foos si dimostrassero ben altra cosa dalla copia sbiadita dei Nirvana.

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