1. Donut Land
2. Black Moon
3. Combat Dwarf
4. Burden
5. Enemy (Feat. Sexo)
6. Long Dream
7. Death Thoughts
Da Pisa e dintorni, ecco i Butters. Abbastanza giovane, molto motivata e con e idee sicuramente chiare, la band, che aveva già pubblicato un demo nel 2016, torna a calcare la scena nazionale (ma speriamo si spinga presto anche un po’ più in là) grazie ad un nuovo album uscito questa primavera e colpevolmente lasciato in attesa di ascolto da parte del sottoscritto, intitolato “No Mankind”.
In questi sette brani i Butters riescono a mischiare l’ultima venatura sonora dei Trash Talk ad un powerviolence di netta matrice Slap a Ham, svincolandosi in tal modo da qualsiasi inquadramento canonico del genere. La voce, che riempie molto e scorre sul filo del rasoio, a volte, di crust e sludge, ci riporta a Neanderthal e No Comment, anche se qualche urlo animalesco in più, nel complesso del disco, non avrebbe guastato. Certo, i maestri sono sempre i maestri, ma per il resto, ci sono tutti gli ingredienti per il disco powerviolence perfetto: blastbeat, mosh mascherato da tupa-tupa, assoli ampiamente divaganti e grezzi, cigolii e ghost track finale.
Combat Dwarf è sin dal primo ascolto diventata la mia canzone preferita del disco, ma anche Enemy o la iniziale Donut Land non scherzano quanto ad arroganza, “blearrrgh” e grottesca ironia. I minuti passano veloci sino a portarci alla lentissima ed ignorantissima Long Dream, che puzza di fancazzismo e Southern Comfort di sottomarca. L’unico appunto che si potrebbe muovere ai Butters è di aver scritto canzoni troppo lunghe, ma forse anche questa scelta fa parte del gioco: disorientare chi si aspetta un disco powerviolence come migliaia di altri sulla faccia della terra. “No Mankind”, quindi, è sicuramente tra i dischi estremi più significativi usciti in Italia durante quest’anno.
Uscito in Italia grazie ad un coproduzione Impeto, Punti Scena, Valley Distro e SFA, mentre troverete su cassetta una versione fuori esclusivamente per l’inglese Noise Merchant Records.