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Gaube – Kulbars

2023 - Santeria
progressive songwriting

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Tracklist

1. Kulbars
2. Verme
3. Spettro
4. Sangue (parte I)
5. Sangue (parte II)
6. Confini
7. Muro
8. Arriverà
9. La crepa, il declino


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Perché non partire da chi recensisce? Stavo valutando di quale album occuparmi, mi muovevo a volo tra i generi e gli autori più disparati; me ne stavo assorto in un melmoso spleen primaverile, pensando tutto assorto: ‘se non trovo qualcosa di adatto al mio umore per oggi lascio stare’. Stavo per cedere, quando all’improvviso vengo catturato da uno degli ultimi ascolti: qualcosa di progressive, ma non per finta. Parte la canzone, piano piano s’innalza una sonorità claudicante, elettronica, sostituita a poco a poco da echi più naturali, quasi una cascata di effetti culminanti in una successione di modo minore/maggiore in accordo di tonica: terze piccarde a inizio brano, davvero?!

Questa è Kulbars, prima canzone dell’omonimo, ultimo album di Gaube, uscito lo scorso 10 marzo. Autore di brani che richiamano il rock progressivo e psichedelico tanto caratteristico degli anni ’70 – italiano, ma non solo -, della sua tavolozza di idee appare chiaro fin da subito un obiettivo, quello di descrivere, attraverso un occhio razionalmente critico e politico, la realtà di questo tempo, e in particolare quella del territorio circostante.

Classe ’96, toscano, Gaube è nome d’arte di Lorenzo Cantini, parte di quella generazione cui appartengono anche un Andrea Laszlo De Simone o un Lucio Corsi. “Vedo troppi ragazzi che si avvicinano alla musica con l’idea di trasformarla soltanto in un lavoro con cui fare i soldi,” – così si esprimeva ai microfoni di RollingStone Italia – “Per cui il discorso diventa semplicemente ‘devo fare pop in un certo modo, con questi suoni e con questa struttura, perché è quello che funziona”. Io vado nella direzione opposta.’

Pienamente d’accordo con chi evidenzia – mi riferisco al calibrato giudizio di Raffaella Oliva – come le sue canzoni, registrate in live e in cui a chitarre, basso, batteria, tastiere e synth talvolta viene aggiunto uno strumento atipico come l’organo, diano luce ad atmosfere piacevolmente arcane, oniriche e smorzate, non banali: anzi, è da evidenziare come il più delle volte lungo questa attitudine impressionistica si mescoli ad vero e proprio senso di liricità – penso a La crepa, il declino, con le sue cadenze V-I in successioni ascendenti di tono. Da questi elementi di stile emerge una chiara ammirazione per Sasso, l’ex-socio del già citato De Simone negli Anthony Laszlo, anch’egli promotore di un repertorio ornato di atmosfere psych e progressive. “Si tratta di fare ricerca musicale, sotto questo aspetto rispetto tantissimo i Verdena e Iosonouncane: se ne fregano delle mode, si fanno altamente i cavoli loro… secondo me fanno bene.”

Oggi Lorenzo vive a Bologna e studia antropologia all’università. Sempre contestualmente alle suddette dichiarazioni presentava la propria formazione artistica e l’origine del suo pseudonimo: “Mi sono avvicinato alla musica grazie a mio padre, che ha sempre suonato la chitarra: così alle elementari mi sono ritrovato a frequentare un corso di propedeutica musicale, dopodiché ho studiato chitarra – anche io – e al liceo ho cominciato a scrivere le mie prime canzoni. Successivamente ho lavorato a vari progetti collaborativi, ma a un certo punto ho sentito l’esigenza di portare avanti le mie idee e i miei gusti musicali, senza scendere più a compromessi a livello compositivo e autoriale. Per questo ho creato Gaube: il nome d’arte è il cognome di mia nonna materna, che è tedesca e, da pittrice cresciuta in una famiglia dallo spirito libero, mi ha trasmesso una buona dose di anticonformismo.” E l’interesse per l’antropologia? “È una materia di cui avevo una visione vaga, ma che ho scoperto di amare. Ti dà una preparazione umanistica d’assieme e gli strumenti per osservare la realtà con uno sguardo critico: nell’ottica di un relativismo culturale che mai come di questi tempi dilaga, un mezzo del genere può essere davvero utile.”

La struttura dell’album consta di tanti piccoli brani, sì talvolta privi di ritornelli, ma sempre densi di temi di spessore, toccando ora il topic digitalizzazione, ora le implicazioni dei flussi migratori nel Belpaese. Non a caso lo stesso termine ‘kulbars’ fa riferimento a coloro che, non sempre in condizioni di legalità, trasportano di peso mercanzie attraverso i confini di vari Stati mediorientali (Siria, Iraq, Turchia, perlopiù). 

Come già detto, non manca all’album una certa dose di ricercatezza tutta autoriale: penso ai cambi di ritmo di Sangue (parte 2), ma anche ai già menzionati cambi di modo entro la stessa armonia – Kulbars, Confini. Non spoilero altro, dicendo così ho già lasciato immaginare troppo: mano alle cuffie, è tempo di Gaube, è tempo di “Kulbars”.

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