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Jah Wobble – A Brief History of Now

2023 - Cleopatra
post punk / dub

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Tracklist

1. Last Exit
2. Wrong Side Of The Line
3. SOO 135
4. I Am, I Am, I Am
5. Fashion World
6. A Brief History Of Now
7. I Am The Fly
8. Driving
9. This Is The Love
10. Master Of Time
11. 80 Beats Per Minute
12. Socially Functioning Psychopath


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Non si parla mai a sufficienza di Jah Wobble. Eppure di post-punk, negli ultimi tre, quattro anni si sta cianciando fin troppo, quindi perché non perdere un po’ di tempo ricordando che Wobble, all’anagrafe John Joseph Wardle, fu proprio uno dei primi motori tutt’altro che immobili di questo movimento. Una breve storia di ieri: era il 1978 e John Lydon e il Nostro cambiavano irrimediabilmente i connotati al punk pubblicando l’omonimo album dei loro Public Image Ltd. Al netto del fatto che attorno a loro ci fosse tutta una galassia già in essere, i PIL e il sound forgiato dal bassista londinese furono la testa d’ariete, come si suol dire. Abbandonata la nave lydoniana prima che essa andasse ad adagiarsi nell’abisso, Wobble si fece latore, assieme a quell’altro gigante di Bill Laswell, del basso dub nella sua accezione più sperimentale. Perché non venga annoverato negli annali delle quattro corde come dovrebbe per me resta un mistero.

Riprendiamo però un discorso vicino ai giorni nostri. Nel solo 2023 Wardle ha dato alle stampe già due album (“The Bus Routes of South London” e “Thames Symphony”, dedicati a due simboli chiave della capitale del Regno Unito) ovviamente vicini alla sua natura bassara e ben più obliqui di quanto non sia “A Brief History of Now”, titolo che tutto fa tranne che descriverne i contenuti. Fatta squadra con un altro peso massimo di quell’oscura stagione britannica, ossia quel Jon Klein che prestò servizio alla corte di sua maestà Siouxsie Sioux (seppur non nel suo periodo d’oro), John riprende le fila del genere lasciato da parte svariate decadi or sono. Non indagheremo il perché della scelta, quantomeno sospetta dato il clamore che il post-punk sta smuovendo negli animi dei più giovani.

Il disco è un concentrato di melodie che, se suonate da generazioni ampiamente successive a quelle di Wobble, verrebbero bollate come vere e proprie paraculate, ma che in mano al veterano sembrano…sempre paraculate ma fatte meglio, sempre che questo abbia una qualche rilevanza artistica (e forse no). Un brano come Fashion World farà anche impallidire le “nuove” composizioni dei redivivi Blur (altri paraculi di altissimo livello, il cui ritorno mi ha lasciato indifferente nell’entusiasmo generale degli ultratrentenni/quarantenni sbavanti ai loro concerti), andando a rimestare nel britpop tanto a fondo da sembrare uscita massimo nel ’96, ma quando un pezzo suona già vecchio ma in qualche funziona viene sempre da chiedersi come faccia e si teme sempre che la risposta sia semplicemente “è l’esperienza, baby”. Passando da qui alla title track e Master of Time il paesaggio cambia inesorabilmente, entrambe paiono una copia carbone di quanto fatto da Iggy Pop in “American Caesar” (nella fattispecie il brano Wild America recuperato a più riprese), complice anche il cantar/recitando molto basso del buon Jah, e sfalda la soluzione di continuità, già spezzatasi dopo la doppietta postpunkettara composta da Last Exit e Wrong Side of the Line, taglienti melodie sorrette da chitarre sornione seguite dal rientro del dub dalla finestra accompagnato da SOO 135.

I Am the Fly mischia la voglia di britteggiare con le ritmiche giamaicane più spesse che, almeno sulla carta, parrebbe interessante ma che non porta da nessuna parte o, se lo fa, il luogo non è proprio il massimo da visitare. Più l’ascolto si protrae, meno si comprende dove Wobble voglia andare a parare, men che meno quando sul cammino si incrociano cose come Driving, pop rock screziato di folk d’albione tutto tranne che intrigante e il power pop alla buona di Socially Functioning Psychopath.

Un misto di tutto e niente, di mestiere che si sa essere pane suo, tutte cose sviluppate in più di quarant’anni di onorata carriera ma che a sentirle tutte assieme non portano da nessuna parte. Se è ingiusto che non si parli abbastanza di Jah Wobble, sarà invece bene non si parli a lungo di “A Brief History of Now”, cosa che inevitabilmente accadrà.

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