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Interviste

Le stratosferiche Gymnopédies di Dorothy Moskowitz & The United States of Alchemy: intervista a Francesco Paolo Paladino

Foto: Maria Assunta Karini

Il mondo della musica è contornato dalle storie più incredibili e rare. Francesco Paolo Paladino è l’artefice di una di queste. Ricollegare i fili della memoria dal Sessantotto ad oggi, contattando e coinvolgendo Dorothy Moskowitz, leggendaria cantante e compositrice statunitense impegnata nel progetto The United States of America, ci trascina in nuove partiture e trasgressioni tuttora in trasformazione.

E così è nato “Under An Endless Sky” (qui la nostra recensione), straordinaria collaborazione tra Dorothy Moskowitz e The United States of Alchemy, ovvero appunto Luca Chino Ferrari e il nostro Francesco Paolo Paladino, che abbiamo incontrato per saperne di più su questo album unico pubblicato a marzo 2023 su Tompkins Square.

Ciao Francesco, è un vero piacere per noi di Impatto Sonoro poter ascoltare dalla tua voce la gestazione e le poeticità raggiunte per la messa a punto di “Under An Endless Sky. Sul bandcamp parli di suoni virtuali (“Non ci sono chitarre, bassi, batterie o altre diavolerie tecnologiche, ma solo suoni virtuali“), cosa intendi esattamente?

Ciao Bob! Nella prima stesura di Under An Endless Sky, la prima track, avevo creato un tappeto sonoro con una delle più semplici applicazioni “virtual piano”. Poi ho raddoppiato, triplicato, quadruplicato quel tappeto sonoro attraverso il mio sistema di montaggio final-cut 2001 (modernariato, ma assai efficace e per me indispensabile, mai lo cambierò!), tagliando e cucendo come a rievocare i celebri “delay” rileyani. A quel punto la materia che ne è risultata era una strana “poltiglia” sonora che, per certe azzardate connessioni timbriche, mi ricordava alcune texture di Robert Wyatt. È qui che ho inserito registrazioni di archi del trio Cavalazzi agendo con il bisturi, tagliando e ritagliando violini su violini fino a ricostruire anche un tessuto melodico mai esistito e che si muoveva parallelo alla materia sovrastante con una “ghost orchestra”. La stessa cosa ho fatto con i fiati di Mauro Sambo destrutturando il suono che mi aveva inviato per un altro progetto. Ecco, avevo ottenuto un suono completamente virtuale, ma non ero ancora soddisfatto. Così ho coinvolto gli Enten Hitti che hanno suonato violini reali. Per il vero esiste una seconda versione (inedita) del brano anche con gli oboi. Ma ho preferito più semplicità. Avevo ottenuto la struttura ideale, quella che volevo per il canto di Dorothy che – come fosse un bardo – avrebbe dovuto cantare all’inizio e alla fine del brano, lasciando un largo spettro di sola musica nel mezzo del brano. Cosa inusuale per una cantante di cui volevamo celebrare il ritorno. Dorothy mi disse con estrema gentilezza che riteneva il brano “forse” un po’ troppo lungo; tagliai circa 5 minuti (ma ho in archivio ancora la “extended version”); in ogni caso non volli andare al di sotto dei 23 minuti. Mi imposi in questa coraggiosa scelta. I fatti mi hanno dato ragione. E ne sono contentissimo. 

Secondo te, accostare Terry Riley di “A Rainbow in Curved Air” al primo brano omonimo del vostro album, troverebbe in questo delle corrispondenze soniche?

Hai perfettamente ragione; ma forse soltanto Poppy Nogood and the Phantom Band ,la seconda facciata del meraviglioso disco di Terry; poi il riferimento più adeguato potrebbe essere Persian Surgery Dervishes ma soprattutto Rock Bottom di Robert Wyatt (per la libertà e il coraggio degli accostamenti tonali); per completare il gioco dei rimandi “famosi” potrei aggiungere Nico nell’incredibile canto rilasciato sul disco di Kevin Ayers, “The Confessions Of Dr. Dream And Other Stories…

Esattamente come c’entra l’elettronica in questo album, dato che sei un compositore prettamente di questa musica, che ispirazione d’intenti vorresti/potresti adoperare per descrivercelo?

Sono un “non musicista”, o se vuoi un compositore di scuola post-cageana; come molti della mia generazione abbiamo ascoltato e apprezzato prima Brian Eno di Cage. Nel mio comporre mi sono imposto regole come faceva Cage: per esempio “scrivere musica attraverso strumenti che originariamente non sono musicali”: il computer. Se verrai a trovarmi non troverai a casa mia tastiere o altri marchingegni ma il computer. La mia sfida è creare da lì, dove tutti possono attingere, usando free app, suoni strappati da eventi narrati su pagine non musicali, scorie interconnesse, poesie e gemme abbandonate. Mi sono, dunque, imposto un “i-ching” creativo dove la casualità viene vissuta come ago della bussola. La casualità è magia. In un mondo dove la fantasia è superata da una (assurda e tragica) realtà, gli artisti possono solo appellarsi alla casualità, l’unica magia rimasta. E per “casualità magica” intendo proprio il gesto che proviene dal cuore e si muove come una radio calamita rivolta a toccare, scegliere, individuare attraverso un cammino casuale determinato dal voler appropriarsi delle regole poetiche della vita. Regole che non sono norme o elenchi di “doveri” o di “preclusioni limitanti”, ma – appunto – “regole poetiche” che insegnano a credere nel potere della casualità. Ecco perché non sono un musicista, un esecutore, ma un compositore perché confido nel trovare la nota giusta nella nebbia o nel liquido amniotico dell’arte, nella quale fluttuano le menti più vive.

Come è nato il progetto The United States Of Alchemy e la decisione di coinvolgere Dorothy Moskowitz? Di sicuro tu e Luca Chino Ferrari avete amato quel disco mitico: quando lo avete scoperto e cosa vi ha incantato a quel tempo?

Io e Luca ci conosciamo da trenta anni e ci siamo stimati da sempre; circa 5 anni fa mi propose di rivisitare un brano di Syd Barrett per una raccolta della germanica Gonzo Records “Various Artists – Love You. A Tribute to Syd Barrett: il brano prescelto era Feel. In quella occasione scegliemmo di chiamarci con l’acronimo His Majesty The Baby. Con grande sorpresa Shindig!, una rivista inglese più che rispettabile (issue 113), ci indicò (articolo di Jeff Penczak) come il gruppo sperimentale che meglio aveva colto l’anima di Syd. Così dissi a Luca: è di buon auspicio, vuol dire che dobbiamo continuare! Così nacque il primo (e per ora unico CD, Silentes 2022) album dei His Majesty The Baby, “Hope For Madness“. Nel 2023 gli HMTB hanno deciso di assumere un secondo nome The United States of Alchemy: Luca, io e Karini, quest’ultima per l’aspetto visivo (cover, grafiche). Ho sempre avuto una sorta di venerazione per il disco dei The United States of America: lo sentivo quando ero un ragazzo. Li avevo conosciuti su di una raccolta CBS (pensa, 1968, primo vinile colorato!!!!) che si chiamava “That’s Underground“. L’Underground era un vero e proprio genere musicale, che differiva da rock e pop: era qualcosa di “diverso” da tutto. E gli USA erano nel manifesto di questo incredibile genere musicale. Li adoravo. Un vero culto. Ho seguito i musicisti ma con grande fatica prima dell’avvento dei computer; poi nel 2020 circa ho iniziato a scrivere a Dorothy per avere un suo CD che era allegato ad un libro di un certo Tim Lucas di NYC. Da qui abbiamo cominciato a scambiarci mp3. Ed è nata prima una reciproca ammirazione artistica, cosicché ho iniziato a comporre brani che via via le proponevo. E lei con una capacità mediata da esperienze raga e avant ne faceva emergere una linea armonica. Tutte le musiche del primo CD degli United States Of Alchemy sono mie; tutte le armonizzazioni vocali di Dorothy; tutti i testi di Luca che ho immediatamente coinvolto in questa magica avventura. Luca ha ideato parole meravigliose che sono state discusse tra lui e Dorothy come se ogni brano volesse davvero essere qualcosa di completo. Non quindi parole a caso, ma ogni brano affronta e affrontava problematiche specifiche che erano l’argomento di nostre incredibili discussioni via internet.

Non vedo l’ora di cimentarmi nella lettura dei testi, ho ordinato da poco il CD. Continuiamo: come avete lavorato alle fasi di completamento di “Under An Endless Sky”, dato che Dorothy vive in America; come si sono svolti gli incontri e se questi hanno avuto necessità di una concertazione d’ensemble, di lavorare a stretto gomito?

È stato tutto uno scambio di email, Wav e mp3. Addirittura abbiamo deciso volontariamente di evitare video chiamate per non rompere l’incantesimo! Alla fine vagavano per l’etere venti trenta e-mail al giorno cariche di musica e di sogni. È stato bellissimo.

Tu e Luca avete collaborato insieme ad altri progetti?

Voglio solo aggiungere, a ciò che prima ti ho detto sopra, che Luca ha scritto un testo per il mio nuovo album “Treasure of Light” (uscirà per Silentes nel nuovo anno) e sarà cointestato con un altro amico e immenso artista come Martyn Bates. Inoltre, recentemente ho composto, per il nuovo libro di Luca sull’argomento delle miniature musicali (che sarà edito da Recommended Records), un brano dal titolo Miniature; invece, nel 21013 ho regalato a Luca una mia registrazione della Third Ear Band (li avevo filmati nel 1989) curandone il mixaggio finale di cui lui ne ha fatto un bellissimo CD (TEB at circolo Tuxedo italy 1989 – Gonzo Multimedia 2017). Siamo molto diversi ma assolutamente complementari.

La Tompkins Square Records ha puntato su di voi o viceversa, non vi sentite un pochino atipici inseriti nel loro catalogo che mi sembra abbastanza legato al roots, mentre voi puntate anche all’improvvisazione? A meno che per “roots” voi non intendiate un recupero temporale, invero amplissimo delle radici culturali, e non solo, della musica occidentale. Quale operazione, disegno monumentale di ricerca, si nasconde dietro “Under An Endless Sky”?

Anche questa è una bellissima storia: finite le registrazioni dell’album ho consultato il mitico Joe Boyd (sì il produttore di Nick Drake, ISB, Pink Floyd!): avevo fatto una miniserie che si reperisce ancora su YouTube dove per ben otto puntate ricostruivo la sua vita; beh, Joe mi ha indirizzato a Josh Rosenthal il titolare della Tompkins. Josh dopo due giorni mi ha detto che i l7 febbraio 2023 sarebbe uscito il 45 promozionale su internet ed il 17 marzo 2023 il CD per la Tompkins Square. A giorni celebreremo un anno di vita di questo disco. Non c’è stata alcuna difficoltà con Josh. È stato qualcosa di incredibile firmare un contratto discografico con una delle etichette più raffinate del panorama mondiale, che è riuscita ad avere in catalogo registrazioni inedite di Tim Buckley e Robbie Basho. Ecco, le mie musiche sono lì, accanto a questi enormi artisti e ne sono disorientato ma assolutamente felice.

Ho letto che non fai molti live, perché la tua musica non si presta ad ampie location, quindi prediligi, le rare volte che ti concedi a una esibizione, set raccolti. Hai, con i tuoi compagni di avventura, pensato di portare in giro, per alcune date cardine, “Under an Endless Sky”?

Uno dei miei rarissimi concerti l’ho fatto a Topolò (UD) l’anno scorso prima che chiudesse i battenti per sempre, su invito di un musicista che stimo moltissimo: Alessandro Fogar. Io e Fogar eravamo in un piccolo campo su di un dirupo che si apriva ad una valle priva di luci elettriche. Un’ora bellissima di cui ho ricordi indelebili. Quest’anno ho ricevuto da Walter Rovere un invito per AngelicA (Fest di musica nato a Bologna, ndr): stiamo studiando se e come realizzare un “gesto artistico” che possa spiegare l’essenza degli United States Of Alchemy. Non è facile. È ancora tutto da verificare. Inoltre mi piacerebbe, se andasse in porto, trovare almeno altre due date successive…non sono un tour manager e non mi voglio improvvisare tale.  

Di quale atmosfera, in chiave d’ascolto, ha bisogno un album di questo tipo, dove il lavoro, notevole e sofisticato, è stato altresì coadiuvato dalla partecipazione di tanti altri musicisti impegnati ad accrescerne le visceralità e gli accenti desiderati?

Il tipo di ascolto che suggerisco è quello della domenica pomeriggio, quello più rilassato, quando ci sono pochi impegni e la mente si apre alle proposte più intriganti; oppure la notte quando il ritmo infernale dei nostri giorni rallenta. La partecipazione di tanti amici immensi musicisti è stata bellissima. Ormai ci scambiamo le nostre musiche come messaggi cosmici. Pensa che avevo iniziato “la politica degli scambi musicali” nel lontano 1985 con i Doubling Riders quando ancora non c’era internet. A volte bastano poche parole per spiegare un progetto; parole chiave che riescono a sintonizzare le nostre anime creative. Lo so tu dirai “ma questo abita in un altro mondo!”. Forse abito in me; vicino al mondo di tutti i giorni ma separato da un diaframma di energia creativa che sinceramente mi ha sempre accompagnato fin da bambino. Ringrazio le vite che ho vissuto e quelle che sto vivendo e vivrò. Fino a che il tempo me lo concederà.

In My Doomsday Serenade, non avete – mi permetto – esagerato col mood ‘mantice della fisarmonica’, che sembra l’elemento centrale che definisce il suono, comunque articolato, dell’album? Avete scomposto Nico nella sua reiterazione e avete anche fatto “saltare” la track con effetti di raddoppio della voce insistendo su un pattern inquieto, contornato nella sua essenza da deviazioni al limite dell’oniricità, avvicinandovi a un bad trip di fattura elettronico-acustico accentuando un climax esacerbato quanto inusitato, raggiungendo luoghi di conflitto poi disciolti… in quale corrente musicale? Siete degli ibridi di estrazione colta? Dove risiede il principio base per cui un pubblico dovrebbe/potrebbe fruire della vostra musica?

Mi piace la tua definizione di “ibridi di estrazione colta” sempre che per “colta” tu intenda “referenziale”: ho introdotto nella mia memoria ed ho cercato di conservare nella mia memoria tutta la musica che ho voluto amare ed ho amato. Nel momento che mi permetto di “fare musica” quei ricordi/files musicali affluiscono insieme, senza nome e si mescolano alle mie idee musicali. Quello che si realizza non è un processo volontario ma eminentemente fisiologico. Il mio corpo che è anche anima o quanto meno ne è intriso non trattiene le mie idee siano musicali o di altro tipo. E queste – a loro volta – sono l’evoluzione dei miei ricordi, nel caso specifico dei miei ricordi musicali. Il ricordo musicale non è mai di tutto un brano, di tutta una canzone ma è ciò che il mio corpo è riuscito a trattenere perché potessi evocarlo. È come il sapore di un cibo. Non ricordi gli ingredienti ma la sua fragranza. Penso che non esista un pubblico per tutti i sapori della musica. Non è la musica che deve cercare le orecchie della gente; ma sono le orecchie della gente che scelgono che tipo di suono ascoltare. La gente, oggi più di un tempo, ha la possibilità di ascoltare tutta la musica che vuole, ogni genere possibile. Io non posso imporre alla gente una scelta. Non è corretto. Posso solo tentare di educare con i miei suoni l’orecchio della gente. Questa è un’operazione onesta. Non è un’operazione industriale ma sociale.

Sono arrivato a te, Francesco, perché mi ero ricordato del lavoro fatto sulla Third Ear Band da Luca Chino Ferrari, e così ho scoperto con entusiasmo che era uscito “Under an Endless Sky”, a quel punto mi è parso un fatto incredibile, giacché conosco The United States of America da quando ero teenager, riagganciare parte di quella memoria, rintracciare quel filo rosso e tirarlo via dalle maglie del tempo per farlo rivivere sotto altre gradazioni. Sono stato fulminato e istantaneamente un accesso dimensionale ha unito Dorothy, Joseph Byrd, te e Luca. Quanto entusiasmo hai, avete riversato per approdare al concreto rilascio dell’opera?

Descrivi bene l’emozionalità che ho vissuto. Sì per me è stato un grandissimo piacere, un’emozione enorme essere messo nella possibilità di interagire con Dorothy, una delle due o tre icone della musica underground di tutti i tempi. Alla pari. Mi sono sentito un privilegiato. Per questo ho cercato di introdurre il mondo di Dorothy ai miei amici musicisti; era giusto allargare questa mia gioia anche a loro. E loro che hanno collaborato con me a rendere questo disco davvero qualcosa di memorabile.  

So che è in fase di finalizzazione il nuovo album, cosa puoi dirci in merito: esce sempre per la Tompkin? Uno scoop, un antipastino ce lo elargiresti, Francesco?

Il prossimo lavoro degli United States Of Alchemy si chiamerà “Monastir/Songs Of Compassion, e non uscirà per Tompkins Square. Josh, che è un ottimo label manager ha dovuto pensare alla politica della sua etichetta in primis e non ci ha potuto assicurare una seconda uscita. Tempi grami per l’arte. Si è interessata a noi in modo entusiasta una etichetta di cui per ora non posso fare il nome. E probabilmente il CD/LP vedrà luce entro l’anno. Ti dico subito che il disco è composto da una mia suite comprendente 10 brani che si chiama Monastir ed è dedicata a Andrej Tarkovskij; la seconda parte da un insieme di songs composte da Dorothy e con le liriche di Luca salvo un brano che è stato scritto e suonato da Joseph Byrd e arrangiato da Dorothy e con miei interventi. Si passerà da una fantascienza psicologica al suono della compassione. “Umana cosa è aver compassione degli afflitti” scriveva il Boccaccio; direi che è uno stato d’animo molto attuale. Per l’occasione ho suggellato un nuovo rapporto di collaborazione con Roberto Laneri che stimo moltissimo sia come uomo che come musicista e che con i suoi Prima Materia ha scritto una pagina indelebile dell’arte italiana. Ma non voglio anticipare di più, magari ne parleremo a tempo debito; in ogni caso ti anticipo che non sarà un passivo doppione del primo album ma sia pure in continuità con “Under An Endless Sky” rappresenterà una evoluzione del nostro far musica. 

Di Dorothy mi affascina il fatto che dopo l’esperienza dell’album con Byrd, lei abbia, da lì a poco, collaborato con Country Joe, che evidentemente aveva sciolto i The Fish (tra l’altro musica che da circa un anno ho ripreso ad ascoltare).  Inoltre, so pure che Dorothy non ha mai smesso di lavorare nel campo della musica e la sua voce lo fa capire benissimo. Come vi siete intersecati nella contemplazione del  risultato sonoro desiderato, di definizione di un mood piuttosto che basato su uno schema musicale, e quanto la differenza di attitudine e approccio al proprio stile, delle singolarità in campo, si sia unito allo studio musicale di ciascuno per finire condensato in questo album?

È stata una magia che difficilmente si può vivere; ci siamo trovati d’accordo su tutto, come avessimo vissuto insieme da anni. E mano a mano che ci conoscevamo maggiormente capivamo che ci sarebbe stato facile lavorare. Insieme. E così è stato. Dortothy in tutti questi anni aveva abbandonato il suo spirito sperimentale, lo aveva riposto nel cassetto degli oggetti più intimi e preziosi, quasi per pudore non volesse più usarlo. Io le ho acceso un nuovo fuoco, senza presunzione, è lei stessa a scrivermelo sempre, e dal fuoco all’incendio il passo è stato brevissimo! Ora Dorothy veleggia su tanti lidi e con diversi progetti, ma non dimentica i suoi amici Los Italianos…con noi cospira sempre come fosse una ventenne con un amore per il nuovo, il bello ed il trasgressivo. 

Mi piacerebbe chiederti della tua visione artistica, della tua filosofia artistica, laddove alcunché di iconoclasta, nel tuo lavoro musicale pare oltrepassare una certa cortina di riferimento stilistico, cosa che invece traspare dalle tue immagini filmiche. Ti senti un artista, un uomo con due anime? A che voglio giungere. Un’immagine, una sequenza di immagini nate dalla tua poetica di rappresentazione espressiva in tale formato, pare biforcarsi a un bivio proprio a seconda del tipo di formato espressivo prescelto, infondendo tensione e scontro in quello video ed evadendo da “complicazioni” (mi viene alla mente l’Hendrix che disse, quando le cose diventano troppo pesanti chiamatemi elio) nella strutturazione creativa resa col formato musicale. Forse sono semplicemente riduttivo.

Sì, mi piace che hai colto questo mio aspetto, molto cinico e irriverente. Mi piace la sfida per le cose impossibili, difficili, categorizzate, ritenute intoccabili. Mi piace essere spregiudicato e irriverente, ripudiare i principi e le credenze comuni; sono spinto o motivato da un’indiscriminata polemica costruttiva con me stesso e con la realtà che vivo. Nel mio “non regola” la musica diventa frame cinematografico e il film campo da arare con la musica. La poesia è tutto ciò, un liquido amniotico che tutto ricomprende sempre che la materia di cui dispone ne sia degna. Io cerco attraverso la “casualità”, lo stupore del non musicista, la furia iconoclasta di chi non accetta regole cubizzanti di percorrere la via dell’arte. È bellissimo annusare i sapori di quella via ormai desueta.

Quindi ti considereresti una persona viscerale o maggiormente ponderata? E per chiudere la trasognante e appassionatissima chiacchierata, Francesco, di cui ti ringrazio tantissimo, ugualmente per le aperture a tutto campo che con noi hai voluto condividere, ti chiederei ancora: quali sono i tuoi registi preferiti che hanno innescato la voglia di esprimerti per misure filmiche?

Cerco di ponderare le mie emozioni; se devo prendere una decisione mi impongo di dormirci su una notte. Sottolineo: di “dormirci” non di “pensarci”. I miei registi preferiti in parte te li ho svelati: Tarkovskij, Fellini, Pasolini e poi Parajanov e Jodoroski. Per qualcosa di più rilassato e scanzonato Steven Soderbergh, Scorsese e Brian De Palma.

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