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Rancore – Musica per bambini

2018 - Hermetic / Artist First
rap / hip-hop

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“Questo disco è un controsenso, un tocco di lucidità nella follia, un bambino che quando scopre il mondo reale vede qualcosa di incomprensibile”.

Innanzitutto, vorrei ringraziare l’autore per l’utile guida all’ascolto gentilmente fornita alla stampa. “Musica per bambini” è un vero rompicapo, un cubo di Rubik in cui la ricostruzione delle facce è suscettibile di variazioni a seconda dell’angolazione e dell’intensità della luce. È l’anti immediatezza, un dedalo di parole in cui la densità dei contenuti e delle sfumature di significato, vanificano in partenza qualsivoglia filo d’Arianna. Ha una logica contorta, che non ho assolutamente la presunzione di avere colto, ma ce l’ha. Anzi no: e se fosse puramente frutto dell’istinto? Beh, quale che sia la risposta, il risultato non cambia.

Ogni paragone col passato dell’artista capitolino risulta fuori luogo. Il fruttuoso sodalizio con DJ Myke, che dal 2010 al 2015 ha portato alla realizzazione di quattro lavori estremamente interessanti, più che archiviato si potrebbe considerare come punto di (ri)partenza del Rancore odierno. I suoni perlopiù oscuri che Jano, Meiden, 3D e lo stesso titolare assemblano chiamando in causa anche diversi strumentisti, sotto la supervisione di Marco Zangirolami, pur esulando dalla mera imitazione di sound americani perseguita da buona parte della scena rap italiana, nonché costituendo un efficace contraltare all’irruenza del flusso di coscienza riversato nei testi, vera protagonista dell’operazione, per certi versi mancano della potenza, della carica innovativa e della spregiudicatezza dei dischi in coppia col turntablist/producer umbro. Attenzione: ciò non sminuisce né ridimensiona il valore di queste dieci tracce. Semplicemente, deve essere ben chiaro il fatto di trovarsi davanti a un capitolo sostanzialmente nuovo nel percorso del rapper.

L’attitudine a una scrittura ermetica e polisemica, è sempre stata una prerogativa della penna di cui stiamo trattando. Questa volta però, viene esasperata e spinta al limite della violenza, giocata sul filo del sibillino e a tratti del fastidioso. Parte Underman, autoritratto caloroso più nell’evidenziare la consapevolezza dei propri limiti comunicativi che nell’incensarli, e la speranza di poter arrivare in fondo all’ascolto rendendone un’idea ben delineata, già vacilla. Rancore si riconferma uno storyteller di razza, sia nella trasfigurazione degli oggetti in esseri senzienti di Giocattoli, sia quando veste i panni di cantastorie medievale nella difficilissima Sangue di drago. Ma anche laddove l’egocentrismo tipico del genere, dovrebbe ridurre il tutto a un mero sfoggio di abilità nel destreggiarsi tra schemi metrici intricati e figure retoriche (Beep Beep e Skatepark), la volontà di smantellamento degli stereotipi e l’interrogarsi sulla propria posizione nel mondo, non solo quello musicale, emergono prepotentemente.

Come tutti i bravi scrittori, Tarek parte dal particolare per arrivare all’universale. Gli squarci del proprio vissuto disseminati qua e là, offrono un vivido spaccato del senso di smarrimento e sconfitta generazionale dei tanto discussi millenial, in maniera molto più autentica e foriera d’urgenza narrativa, di tanto piattume indie in salsa italiota fagocitato dai suoi (nostri…) coetanei. Particolarmente significative in questo senso, si rivelano Depressissimo e Centro Asociale. Non potevano certo mancare critiche all’andazzo preso dal rap in Italia, oscillanti tra la frecciatina goliardica e la decisa presa di posizione. Così come non ne è esente la società globalizzata in generale, specialmente nel componimento conclusivo, dall’eloquente titolo di Questo pianeta.

Cogliere tutti i riferimenti inseriti nelle barre, siano essi letterari, circoscritti ad ambiti specifici (il mondo del rap o quello dello skateboard), all’attualità o alla cultura generale, è un’impresa da filologi navigati. Non è assolutamente scontato che un’esegesi rigorosa dei testi, possa eviscerare del tutto questa mole di vocaboli dalla propria complessità. A conti fatti, non è nemmeno strettamente necessario per apprezzarla: come noto, uno degli aspetti più interessanti della poesia, è il potersi prestare all’interpretazione soggettiva di chi ne fruisce.

Sottolineare come “Musica per bambini” sia un ascolto decisamente pesante e difficile, è tanto scontato quanto doveroso. Lo è altrettanto però, notare come in un marasma di produzioni fatte in serie, per quel che mi riguarda a malapena distinguibili l’una dall’altra, costituisca un unicum e una prova di coraggio indiscutibile.

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